"Come un gatto in tangenziale 2": il sequel perde in leggerezza

Secondo capitolo piacevole ma dalla spensieratezza smorzata, in cui le disparità sociali e culturali vengono esasperate non tanto con intento comico quanto per muovere riflessioni di varia natura

"Come un gatto in tangenziale 2": il sequel perde in leggerezza

Sbarca nei cinema Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, sequel del fortunatissimo film che nel 2017 conquistò tre Nastri d’Argento e incassò circa 10 milioni di euro. Seguendo il vecchio adagio secondo cui squadra che vince non si cambia, Riccardo Milani torna a dirigere una coppia di fuoriclasse di comprovata alchimia come Paola Cortellesi e Antonio Albanese; la prima nei panni di borgatara coatta e dai modi diretti, il secondo in quelli di uomo di potere dall’idealismo quasi infantile.

La storia tra Monica (Cortellesi) e Giovanni (Albanese), nata grazie all'amore tra i loro figli adolescenti, non è andata lontano. A distanza di tempo, dopo aver lasciato i due, nel finale del film precedente, intenti a scommettere sulla durata del loro nascente love affaire, ecco che li ritroviamo divisi. Lui frequenta da poco Camilla (Sarah Felberbaum), giovane ambiziosa con la quale sta curando un progetto culturale a cavallo tra beneficienza e business, lei è appena finita in galera a causa di una delle solite malefatte delle gemelle Pamela e Sue Allen (Alessandra e Valentina Giudichessa). Sarà grazie a Giovanni, giunto in soccorso a Monica come garante, che la donna potrà essere trasferita ai servizi sociali nella parrocchia del tanto bello quanto pio Don Davide (Luca Argentero).

Cominciamo col dire che è un peccato che Coccia di Morto, la caotica e amena località del litorale laziale del titolo, compaia solo nel finale e che anche Bastogi, il quartiere della periferia romana in cui vive la protagonista, sia qui una location più marginale a favore di ambientazioni molto meno autentiche.

I due protagonisti di "Come un gatto in tangenziale 2", invece, sono fortunatamente rimasti identici. Lei, tutta t-shirt sbrilluccicanti e dalle scritte ilari, si fa valere a capocciate con chi lo meriti e dispensa ancora perle di disilluso cinismo come solo chi ne ha viste tante nella vita sa fare. Lui è sempre più un integralista del politicamente corretto, stretto in un mondo autoreferenziale fatto di modi educati ed opere d’arte, ma anche ostaggio di cerimoniose moine e tanta apparenza. Eppure, nei piccoli e tumultuosi contro-shock dati dalla loro sempre più affettuosa vicinanza, entrambi crescono e sono un esempio di come tenersi alla larga da una piaga comune alle coppie moderne: la sindrome di Pigmalione, quella cioè in cui incorre chi intenda cambiare il proprio partner secondo canoni personali pregressi.

“Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto” permette di ritrovare una formula, quella dello scontro e incontro tra mondi culturalmente e socialmente diversi che, a questo giro, grazie agli interpreti (e molto meno alla qualità della scrittura), sa mantenere una sua freschezza. Le risate, anche se non numerose, nascono spontanee; merito anche di un parterre di comprimari che, tra conferme e nuovi arrivi, appare di grande efficacia.

Quello che manca, però, è il graffio che ci si aspetterebbe da un film che non nasconde di aspirare a qualcosa di più ambizioso del mero divertimento. La narrazione è infatti densa di riferimenti a problematiche attuali come la povertà, la violenza sulle donne e l’occupazione abusiva di abitazioni. Si insiste poi nel suggerire come lo scambio reciproco sia foriero di un miglioramento individuale contagioso e si promuove l’idea che non sia più tempo di separazione tra arte “alta” e di strada, evocando quanto il potere della bellezza (oltre a quello dell’amore) sia democratico.

Tutto molto nobile ma, a tratti, ridondante e superfluo perché i temi seri sono evocati superficialmente e quindi appesantiscono il ritmo senza generare particolari spunti di riflessione. Il film, invece, funziona soprattutto laddove veicola leggerezza fine a se stessa, restando sulla falsa riga del fortunatissimo titolo precedente.

Dalla citazione de “Il settimo sigillo” (vista da poco in “Rifkin’s Festival” di Woody Allen), al terrore bonario generato da due gemelle che sembrano uscite da uno “Shining” avariato, passando per il cameo sempre gustoso di Franca Leosini e le fluenti meches di un Amendola versione ex-galeotto, il sequel di “Come un gatto in tangenziale” va a segno solo se inteso come carrellata di piccoli momenti scacciapensieri in cui rifugiarsi prima di tornare agli impegni settembrini.

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