In fondo lo capisci subito: Ghali vive parallelo al proprio successo, non ne è (ancora) vittima. Ed è quasi intimidito quando annuncia che dal 18 ottobre si esibirà nei più importanti palasport d'Italia, da Torino a Milano a Bologna e Roma: «L'ho sempre sognato, anche se ora non è facile passare dai concertini nelle discoteche al gigantesco Forum di Assago. Vorrei riempire queste arene non solo di persone ma pure di spettacolo», spiega a modo suo, parlando piano, con gli occhi spesso bassi. È sorprendente, Ghali, e sembra fatto apposta per smontare tanti luoghi comuni su rap e dintorni. «Non indosserei mai due Rolex come Sfera Ebbasta al Concertone del Primo Maggio», dice subito, prima di precisare: «Almeno finché i miei amici faticheranno a trovare lavoro».
Da un anno questo venticinquenne italiano nato a Milano da genitori tunisini (vero nome Ghali Amdouni) è un fenomeno di quella variazione del rap che si chiama trap, e tutti parlano di lui, anche chi non ascolta musica ma lo ha visto argomentare bene a Che tempo che fa da Fazio. Oddio, lui alto e allampanato con quel casco di dreadlocks che gli piovono sulla fronte, non passa certo inosservato. Idem i suoi numeri, che sono quelli di una superstar: il suo primo vero singolo Ninna nanna ha fatto il record di streaming in Italia e il debutto, intitolato semplicemente Album, ha già ampiamente guadagnato disco di platino. Però a fare la differenza è stato il brano Cara Italia, arrivato improvviso a gennaio (ma prima sfruttato in versione remix dalla Vodafone) e subito trasmesso anche dalle radio più grandi e attente.
A differenza di altri rapper, Ghali ha una scrittura quasi cantautorale e nei suoi testi lascia trasparire una vena di poesia stradaiola, magari grezza e irruente ma decisamente ispirata. «Quando mi dicono Vai a casa!, rispondo Sono già qua» conferma uno spirito di integrazione che ce ne fossero. «Qual è la differenza tra sinistra e destra? Cambiano i ministri ma non la minestra» è un manifesto dell'antipolitica vista dai ventenni. «Vabbè tu aspetta sotto casa, se non piaci a mamma, tu non piaci a me» e la risposta a decenni di sterile machismo rap. «Sul palco con me ci saranno i dj e una band, verranno a trovarmi amici come Capo Plaza e forse Sfera Ebbasta, magari un calciatore o un artista di strada. Sarà uno show urban fantasy un po' surreale con video inediti della mia infanzia, spesso registrati proprio con l'idea di mostrarli in un grande concerto».
A proposito, che cosa mostrerà sul palco? «La foto di ciò che sta accadendo in Italia: la musica di un italiano figlio di immigrati che arriva dalla periferia». La periferia di Ghali è Baggio a Milano: «A scuola eravamo soltanto in quattro a essere figli di immigrati e mi accorgevo di essere visto con un occhio diverso». Oggi la situazione è cambiata, in tutti i sensi. Per capirci, Ghali ammette candidamente di «non aver mai visto una puntata di Sanremo né di X Factor». E quando lui polemicamente canta «sono felice di fare musica per ragazzini» disegna uno scenario che nel pop sarà sempre meno raro. In fondo, anche se spesso i suoi testi sono nudi e crudi, «i bambini si sono ancorati a me senza censurarmi. Loro sono puri. A loro piaccio perché sono vero». E in effetti, nel candore di Ghali, c'è ancora lo smarrimento infantile di chi è passato da zero a cento quasi senza accorgersene. «Sono cresciuto - racconta - ascoltando Ramazzotti e Pausini, poi Fabri Fibra. Da bambino amavo anche 50 Cent e mia mamma mi ha accompagnato tre volte a vedere il film quasi autobiografico di Eminem, 8 Mile: quando c'erano scene violente mi copriva gli occhi».
Poi, prima con il nome di Fobia e in seguito con i Troupe D'Elite è cresciuto nell'hinterland milanese insieme con altri (ora) eroi come Tedua, Ernia, Sfera, Rkomi. «Ma la folgorazione è stato Stromae, il suo concerto al Forum è il mio modello». Insomma, oggi Ghali è in quel delicato limbo di chi sta sospeso tra le sirene della gloria e le tracce della vita. «Prima ero arrabbiato perché non ascoltavano la mia musica.
Ora sono deluso per le cose che questa fortuna ti toglie: i miei amici si sono dimezzati, anche perché è dura avere tanto mentre i tuoi compagni di vita che non hanno quasi niente».Parole sante, quasi inconsuete, pronunciate però da chi a sedici anni andava in via Mecenate a Milano tra il pubblico di Top of the Pops solo «per guadagnare 30 euro e capire l'effetto che fa applaudire un successo».
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