Giffuni celebra alla grande il primo Testori

Diciamo grazie a Fabrizio Giffuni che riporta in un grande spettacolo il debutto narrativo di Giovanni Testori, intitolato Il dio di Roserio. La storia di Dante Pessina, il ciclista di provincia dominato dall'ansia di vincere che lo porta alla sopraffazione dell'allievo prediletto minacciando di oscurarne la fama, rappresenta molto più di un inizio folgorante nella narrativa dell'autore. Perché il suo eroe rappresenta il delirio divistico di uno dei massimi miti degli anni Cinquanta, il ciclismo, indulgendo con toni da epopea nella raffigurazione moderna dell'epica greca. Con Giffuni che sembra stia per balzare dalla sedia che occupa configurandosi come l'eroe di un mito di volta in volta esaltato e furente, come Ercole reduce dalle dodici fatiche. O meglio ancora come un semidio atterrito dalla responsabilità di rappresentare il cosmo. Giffuni non si limita a declamare il testo in una bella ricreazione di parole, ma addirittura si presenta come l'immagine autentica di Testori. Innamorato della fisicità del suo eroe, finendo per trascendere i confini della narrazione. Diventa quindi il simbolo della guerra mortale che ha squassato l'Italia. Non un'interpretazione, ma una ricreazione della rinascita di un uomo e dell'affermazione di un simbolo.

Ma è anche il primo esempio teatrale di come utilizzare il vecchio monologo, che non è più il virtuosismo, ma con questo show si caratterizza come uno spettacolo a più voci grazie alle straordinarie capacità dell'attore.

IL DIO DI ROSERIO - Milano, teatro Franco Parenti.

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