La gioventù bruciata di Stephen Crane illumina la letteratura

Paul Auster racconta tutta la forza (e lo stile innovativo) dell'autore morto a 28 anni

La gioventù bruciata di Stephen Crane illumina la letteratura

«Perché non sei uscito durante la tormenta di neve con due o tre canottiere di lana sotto?». «Perché se no, non potevo scrivere veramente cosa provavano quei poveri diavoli». Il dialogo è tra il caporedattore che gli commissionò un articolo sui vagabondi che vivevano a New York e Stephen Crane, tra i maggiori scrittori americani dell'800. In quella risposta c'è tutto Crane: la sua poetica, il suo rigore, la sua coerenza. Soprattutto di giornalista, un ruolo a oggi quasi sconosciuto in Italia, ma che è rivelato nella biografia che adesso gli ha dedicato Paul Auster: Burning Boy. The Life and Work of Stephen Crane (Henry Holt & Company, pagg. 787; uscirà in autunno per Einaudi). Paul Auster - autore di romanzi capolavoro come Trilogia di New York, Nel paese delle ultime cose, La musica del caso, Leviatano, Moon Palace, e 4 3 2 1 (in Italia tutti editi da Einaudi) - racconta la vita di Crane, morto nel 1900 a soli 28 anni, ma soprattutto le sue opere, sebbene Crane sia autore di pochissimi romanzi, racconti e poesie. Auster è arrivato là dove gli altri biografi hanno mancato: si è impersonato in Crane, quasi identificandosi in lui, malgrado siano due autori molto lontani tra loro, e soprattutto è riuscito a far riscoprire questo genio della letteratura in un'America che lo aveva dimenticato. Anche in Italia, Crane è al centro di un nuovo interesse: Einaudi ha da poco mandato in libreria Il segno rosso del coraggio, Sellerio lo ha ristampato (lo aveva già pubblicato nel 2002 e da pochi giorni è di nuovo disponibile), Interno Poesia Editore ha tradotto per la prima volta i suoi versi nella silloge Tutte le Poesie (a cura di Franco Lonati), mentre molti dei suoi titoli sono dispersi tra varie case editrici (forse sarebbe l'ora di un «Meridiano» Mondadori).

In Burning Boy, Auster colloca Crane nel «canone americano» e sottolinea come dovrebbe essere letto mentre si è «seduti dritti sulla sedia: lentamente e deliberatamente, frase per frase, con brevi pause... per digerire la piena importanza di ciò che contengono». Per lunghi tratti, Auster fa proprio questo, spacchettando paragrafo per paragrafo, riga per riga, a volte parola per parola. È un lettore eccellente, attento a tutte le sfumature e alle sorprese dello stile di Crane. A differenza di quella che per gli amanti di Crane è la biografia definitiva, Stephen Crane: A Life of Fire, di Paul Sorrentino, quella di Auster regala tutta la freschezza di chi Crane l'ha studiato attraverso documenti originali, attraverso un grande lavoro di ricerca, ma lo racconta con gli occhi e la penna di un neofita. Auster sottolinea che Crane «voleva diventare uno scrittore a tutti i costi e aveva così tanta fretta che la sua vita a volte sembrava precederlo», perché «la ricerca continua del pericolo era la sua dissipazione».

E così eccolo a New York tra prostitute e fumerie di oppio (ci ambienterà il romanzo Maggie, ragazza di strada), poi reporter durante le guerre greco-turca e ispano-americana, alle quali partecipa in parte per soldi, ma soprattutto, dice Auster, «per vedere com'era veramente la guerra, perché a quel punto era diventato incosciente praticamente sotto ogni aspetto: con i soldi, con le donne, persino con la propria salute». Nel 1897, mentre aspettava a Jacksonville una nave che lo portasse a Cuba, Crane si mise con Cora Taylor. Era stata sposata due volte, «una specie di amante professionista», e gestiva un bordello chiamato Hotel de Dream. Auster la definisce «la compagna d'autore meno noiosa della storia letteraria americana». Fu una storia d'amore e di vita piuttosto vivace che dà grande impulso alla seconda metà del libro di Auster: «Lasciarono la Florida per l'Inghilterra, dove era più facile per loro stare insieme apertamente e sebbene Crane fosse ormai una celebrità, più popolare in Inghilterra che in America, erano sempre al verde. Vivevano molto al di sopra delle loro possibilità, con molti servitori, e venivano sfruttati da amici scrocconi».

Auster dà il meglio sugli ultimi due anni di vita Crane che, dopo una parentesi a Washington, tornò a Cuba dove «si comportò in modo sconsiderato, quasi come se volesse farsi sparare, e raramente si preoccupò di mangiare o dormire. E poi, quando la guerra finì, si nascose all'Avana per quattro mesi. Cora, assediata dai creditori, temeva che fosse morto».

La vera novità, in Burning Boy, sono le pagine dedicate al Crane reporter, che «varrebbe la pena di leggere anche se Crane non avesse mai scritto una parola di fiction», perché «poteva trasformare anche un incarico di routine come il profilo di un macchinista in qualcosa di brillante e insolito. Ed era un superbo inviato di guerra, molto avanti rispetto al suo tempo per franchezza e schiettezza. Scriveva senza editorializzare, soffermandosi sull'atrocità della guerra e sulla sua insensatezza».

Anni fa, un altro biografo di Crane, R. W. Stallman, scrisse che la morte precoce di Crane non fu una grande perdita per la letteratura, perché lui aveva esaurito il suo talento. Invece in Burning Boy Auster sostiene che stava appena cominciando, e si chiede quale tipo di scrittore sarebbe potuto diventare se fosse vissuto più a lungo: «Un altro Céline, forse».

Auster poi si chi chiede cosa sarebbe successo se Crane fosse andato a raccontare, come sicuramente avrebbe voluto, la guerra in Europa nel 1914. «Sarebbe potuto diventare il grande reporter che la guerra non ha mai avuto». Perché Crane, conclude Auster, è stato «il primo modernista americano: responsabile di aver cambiato il modo in cui vediamo il mondo attraverso la lente della parola scritta. Uno scrittore che ha esplorato l'immaginario, la struttura della frase e il punto di vista in modi che sono pionieristici e magici in sé».

Certo, a volte Auster esagera: come quando scrive che Crane è «la risposta americana a Keats e Shelley, a Schubert e Mozart», o che La terza viola non è solo «la prima sceneggiatura del mondo», ma «probabilmente anche il primo romanzo postmoderno del mondo». E se lo stesso Crane scriveva che «Ogni peccato nasce da una collaborazione», quello di Auster è un peccato veniale: l'importante è che faccia conoscere Stephen Crane anche a chi ne ignorava l'esistenza.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica