L'inizio è volutamente da favoletta universale, da C'era una volta un Belpaese con le montagne ma anche col mare, con la nebbia ma anche con il cielo terso, dove i politici non riuscivano a mettersi d'accordo sull'elezione del loro presidente. Poi però, quando per ripicche tra capigruppo, il nome più votato è quello di Giuseppe Garibaldi. Così lo sconosciuto Peppino (interpretato da Claudio Bisio), bibliotecario per lavoro e pescatore di trote per passione in un paesino di montagna, viene chiamato a ricoprire la massima carica dello Stato. E il film di Riccardo Milani, dal non originalissimo titolo Benvenuto Presidente!, inizia a prendere tutta un'altra piega, forse ancora universale, ma che vista dall'Italia, dove deve essere nominato un nuovo presidente e la compagine parlamentare non sembra proprio così coesa, assume i caratteri della sorpresa per via della sua oggettiva attualità. Il primo film grillino si dirà immediatamente, anche se regista, sceneggiatore e protagonista stesso ricordano come il soggetto (di Nicola Giuliano produttore del film insieme a Rai Cinema) sia di tre anni fa. Fatto sta però che il film, da giovedì prossimo nelle sale, intercetta pesantemente - rinunciando espressamente al taglio più intellettuale ma più profondo del recente Viva la libertà di Andò - il clima di (anti)politica che si è venuto a creare negli ultimi mesi e i tre capigruppo non colorati partiticamente e volutamente senza nome ma solo riconoscibili geograficamente, il Centro con il Politico ruspante (un grande Massimo Popolizio in simbiosi con il ruolo dello «squalo» Sbardella ne Il Divo), il Sud con il Politico con pizzetto (Giuseppe Fiorello) e il Nord con il Politico bello (Cesare Bocci), sono la quintessenza della politica degli inciuci, dei compromessi, della falsità.
Dal canto suo l'apparente ingenuo nuovo presidente gioca tutto sulla verità del suo mandato portando quell'aria nuova al Quirinale (in realtà è La Venaria Reale piemontese) dove mette scompiglio tra il segretario generale (Omero Antonutti) e il suo vice di cui si innamorerà (Kasia Smutniak) per i modi poco ortodossi di comportamento, tra cui le metafore ittiche (un po' come quelle floreali di Peter Sellers in un altro film «presidenziale», Oltre il giardino). Anche perché devolve il suo stipendio ai poveri («Che ci faccio con 200mila euro?»), accoglie i senza tetto della Capitale, va in ospedale a trovare un amico e resta alcuni giorni nel reparto infantile a badare ai bambini perché per i tagli non c'è personale. La popolarità è alle stelle, per la felicità del responsabile della comunicazione (Remo Girone), con il suo piano di «leggi chiare» («Non firmo se non le capisco»), il taglio delle spese militari (senza però ridurre la Difesa...) e l'Imu «che tutti devono pagare, signori e monsignori». Ma i poteri forti, impersonati a tavola in una scena farsesca dai registi Pupi Avati e Lina Wertmüller, dallo storico del cinema Gianni Rondolino e dal presidente della Film Commission Torino Piemonte che ha sostenuto il film Steve Della Casa, non ci stanno e gli lanciano contro il Signor Fausto, un faccendiere interpretato da Gianni Cavina, che non trovando scheletri nell'armadio del neopresidente cerca di crearli.
Così, tra grottesco e farsa più popolare, si snoda un film che vuole incontrare il pubblico più ampio non rinunciando però a colpirlo con una stoccata finale apparentemente qualunquistica.
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