"Hungry Hearts", l'inferno dei cuori affamati

Un film che racconta in maniera inquietante e con atmosfere thriller, la storia di una maternità ossessionata da demoni interiori

"Hungry Hearts", l'inferno dei cuori affamati

Arriva nei cinema l'ultima pellicola di Saverio Costanzo, "Hungry Hearts", già presentata allo scorso Festival di Venezia. Si tratta di un'opera molto interessante, dotata di fascino e di suggestioni sperimentali, che riflette su cosa può accadere quando genitorialità e profondo malessere esistenziale si incontrano. Tratto dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso, il film narra di due giovani, Mina (Alba Rohrwacher) e Jude (Adam Driver), che si conoscono in maniera casuale a New York in circostanze alquanto bizzarre: sono rimasti chiusi nell'angusta e maleodorante toilette di un ristorante cinese. Da quell'incontro nasce una relazione e i due vanno a convivere in un appartamentino. Passa poco tempo e Mina resta incinta.

Durante la gravidanza la donna diventa fragile e suggestionabile, al punto che, consultatasi con una chiromante, si convince di aspettare un bambino speciale, destinato a rimanere quanto più puro possibile. A questo scopo, una volta divenuta mamma, Mina sviluppa ossessioni nutrizionistiche che la portano a eliminare dall'alimentazione del neonato moltissimi cibi e a somministrargli solo pappette composte di avocado, alcuni semi e qualche pianta che coltiva in terrazzo, condannando il piccolo alla denutrizione. La situazione si farà sempre più disperata e Jude, che nel frattempo è stato spettatore inerme e come plagiato, a un certo punto reagirà. Che l'arrivo di un bambino possa portare ad isolarsi dal mondo delle relazioni in attesa di organizzarsi, è frequente. Così come lo è che il nascituro comporti una qualche variazione nella vita di coppia.

Ma quando a scoprirsi genitore è qualcuno la cui mente è annebbiata, malata e che vive il figlio come una sua proprietà da preservare ad ogni costo da qualsiasi cosa provenga dall'esterno, ivi compreso il cibo, la faccenda è ben diversa. Saverio Costanzo ritrae con assoluta maestria quello che è il malinteso senso di protezione che anima la follia di questa giovane donna, Mina, figura apparentemente mite perché si muove con lentezza, parla sottovoce e con educazione ma, nel frattempo, è in grado di tenere a distanza con incredibile fermezza ogni intromissione nel suo mestiere di mamma. Il regista non ci spiega da dove si originino i demoni interiori della protagonista, di cui sappiamo solo che è orfana precocissima di madre e che non ha rapporti col padre; ma lasciarci all'oscuro di molti particolari pregressi non fa che aumentare il fascino sinistro del film e certi echi polanskiani e hitchcockiani.

Numerosi gli espedienti volti a costruire un'atmosfera singolare e inquietante, uno su tutti l'impiego di obiettivi deformanti che ci mostrano Mina quasi come fosse un essere alieno e che sono in grado di suggerirci una sorta di soggettiva di come la sua psiche percepisca alterata la realtà. Anche se in alcuni punti è innegabile ravvisare un po' troppa fissità nella situazione rappresentata, non c'è mai rischio di annoiarsi perché la tensione e la sensazione di un terrore in agguato si alimentano di quella falsa quiete. Un'atmosfera distaccata percorre tutto il film, perché non c'è nessun dilemma nello scegliere per chi parteggiare essendo la madre indifendibile fin dal principio.

La caratterizzazione manichea dei due protagonisti data in pasto in maniera quasi brutale al pubblico, conferma quanto questo intelligente film sia girato con un coraggio quasi spericolato, seppur tenuto a bada da grande rigore tecnico.

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