L'assenza è doppia presenza. Così la 65esima edizione dei Premi David di Donatello, inizialmente fissata per il 3 aprile e trasmessa ieri su Rai Uno in diretta, tra tecnologia e statuette virtuali, ha ribadito che il cinema c'è. Anche se ha chiuso i battenti per l'emergenza sanitaria, il nostro star system non molla: oltre all'Arte, tiene alle ville a Capri o alle terze mogli, con figli relativi, insostenibili senza i ciak. E il sistema divistico si stringe intorno al presentatore della singolare serata «in absentia», con lo Studio 2 di via Teulada deserto: niente red carpet, niente pubblico, zero abiti di paillettes e nessun saltino sulla scaletta che conduce al palco, per ritirare la statuetta, o porgere l'ennesima gaffe al pubblico che, da casa, è abituato alle faccette in verticale e ai collegamenti da remoto. Non male, in sostanza: l'ora è grave e gli attori italiani infastidiscono, se falsamente entusiasti o ipocritamente empatici, come spesso ai David. Un sassolino dalla scarpa, intanto, se lo tolgono Ficarra&Picone, che l'anno scorso non vollero presentare L'ora legale «per protesta verso una giuria che era fin troppo variegata» (tradotto: abbiamo incassato un botto, ma verremo snobbati) e stavolta vincono il Premio dello Spettatore con Il mio primo Natale, re del box-office natalizio.
Arriva anche l'investitura del presidente Mattarella: «Per ricostruire l'Italia serviranno i sogni del cinema». E tra giri di pagina veloci, alternati a pause musicali, la consegna dei David scorre surreale, officiata da un Carlo Conti alla sua prima prova senza pubblico. E senza prove tecniche di trasmissione. «Va comunque celebrato un anno importante, il 2019, con candidati e film bellissimi. Pensiamo alle persone che ci hanno regalato tante emozioni, premiandole in maniera virtuale. Facciamo di necessità, virtù. In questo periodo, tutti abbiamo fatto una scorpacciata di film, in tv o sulle piattaforme. Ma andremo sempre in sala. Me lo insegna mio figlio Matteo, 6 anni: guarda tutto sull'IPad, ma quando i suoi miti di Me contro Te sono andati in sala, mi ha trascinato al cinema», spiega, cercando di cucire, tra collegamenti sul sofà e ritorni in studio, senza troppa allegria, una strana soirée . Come far suonare l'orchestra, se il Titanic affonda?
Galleggiando sui 100 anni di Franca Valeri, mai candidata, che riceve il David Speciale 2020 nel centenario della nascita di Alberto Sordi e Federico Fellini, ricordati durante la premiazione, anche con l'apparizione di Albertone in un'intervista, dove parla del Mago di Rimini. Saremmo alla fase ologramma, se gli esercenti del cinema, per la prima volta riuniti in un flash mob organizzato da Aned, non avessero riacceso le insegne per il David, in attesa della riapertura: 4.200 schermi spenti. «Che sarebbe il Paese senza il cinema? Questo è un anno bianco, ma c'è voglia di ricominciare. Facciamo finta di niente e teniamo botta», riflette Piera Detassis, in smoking.
E mentre il Paese pare diviso, col Nord contro il Sud anche per via giornalistica (vedi la polemica di Feltri e dei meridionali «inferiori»), balzano agli occhi i «lazzarelli» del meridione sparsi nei film candidati, usciti in sala dal 1° gennaio al 31 dicembre 2019: da La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi a Il traditore di Marco Bellocchio fino alla Napoli fittizia di Martin Eden, firmato da Pietro Marcello, abbondano le figure del Sud.
E i maschi vindici. Nella cinquina finalista - Il traditore, Il primo Re di Matteo Rovere, Pinocchio di Matteo Garrone, La paranza dei bambini e Martin Eden piccoli uomini crescono. Alimentando la speranza che il cinema possa vivere.
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