Dentro i misteri dei Fratelli musulmani. Così gli islamisti s'insinuano in Occidente

L'inchiesta di un super esperto sulla rete dell'estremismo e dell'islam politico

Dentro i misteri dei Fratelli musulmani. Così gli islamisti s'insinuano in Occidente

«Ciò che resta è conquistare Roma. L'Islam tornerà in Europa per la terza volta dopo esser stato espulso due volte. Conquisteremo l'Europa, conquisteremo l'America! Non con la spada, ma con la predicazione». Parole di Yusuf Al Qaradawi, leader della Fratellanza Musulmana, che Lorenzo Vidino, studioso italo-americano dei movimenti islamisti e direttore del «Programma sull'estremismo» della George Washington University cita più volte nel suo nuovo Islamisti d'Occidente (Egea-Università Bocconi Ediore). E lo fa per mettere in risalto non solo la volontà di conquista e di pretesa superiorità culturale-religiosa della Fratellanza Musulmana, ma anche la sua vocazione alla dissimulazione. Fondata in Egitto nel 1928 dall'Imam Hasan Banna, la Fratellanza oltre che portabandiera dell'Islam politico è il terreno di coltura, grazie ai testi dell'ideologo Sayyd Al Qutb, di idee e azioni di terroristi come Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri.

Unendo il rigore della ricerca accademica a un incisività di stampo giornalistico, Vidino offre un dettagliato e inedito resoconto delle attività svolte dalla Fratellanza in seno alle società europee e statunitensi. Vidino ha analizzato per oltre 20 anni le attività della Fratellanza diventandone uno dei pochissimi esperti occidentali, fin da quando all'indomani dell'11 settembre un'inchiesta statunitense svelò i rapporti tra la moschea milanese di viale Jenner, al tempo succursale europea di Al Qaida, e la banca ticinese di Al Taqwa gestita da un trio di facoltosi esponenti della Fratellanza trasferitisi a Milano dopo l'addio ai Paesi d'origine (Egitto, Eritrea e Siria). Vidino è oggi consulente del governo inglese per le attività della Fratellanza.

Come fanno ben capire le interviste dell'autore ai fuoriusciti del movimento, le severe regole di segretezza dell'organizzazione e la rigida compartimentazione della sua filiera rendono difficile percepirne l'influenza. E così, mentre, paradossalmente, Paesi come Egitto, Emirati Arabi ed Arabia Saudita la equiparano alle formazioni terroriste in Europa, la Fratellanza diventa un punto di riferimento per governi e autorità ignari di affidarsi alle sue strutture. È il caso dell'Italia dove nel novembre 2015 l'Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche in Italia), evidente, ma non esplicita filiazione della Fratellanza, ottiene dal Ministero di Grazia e Giustizia l'incarico di selezionare gli imam autorizzati a entrare nelle carceri per amministrare il culto islamico e prevenire la radicalizzazione. Lo stesso Ucoii che tra il 2013 e il 2016 gestisce «25 milioni di euro di fondi» donati dal Qatar, grande padrino internazionale dei Fratelli Musulmani, per garantire «la costruzione di 43 moschee, tra cui quelle di Ravenna (la seconda più grande d'Italia), Catania, Piacenza, Vicenza, Saronno...».

«La segretezza del movimento - scrive Vidino - rende difficile la maggior parte degli sforzi volti a comprendere il complesso meccanismo interno suo e dei suoi spin-off». Un meccanismo ben presente nel panorama italiano dove l'Ucoii continua a negare o celare i suoi legami con la Fratellanza. «Uno degli aspetti più problematici -sottolinea Vidino - è l'identificazione di quali organizzazioni e individui possono essere collegati al movimento».

Un'ambiguità che permette alla Fratellanza di operare come una piovra invisibile usando le sue smisurate risorse finanziarie per creare intrecci di associazioni, enti o fondazioni dove la Fratellanza Pura, ovvero la rete riservata ai membri dell'organizzazione, non è distinguibile dalle sue emanazioni o dai gruppi che ne subiscono l'influenza. Un labirinto in cui si smarriscono anche magistrati, investigatori e politici.

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