I personaggi svuotati della Bassu

L'artista racconta nella sua opera la massificazione degli anni '50

Flaminia Camilletti

Anni '50, il boom economico, il mondo capitalista, le bevande gassose, le donnine tutta vita stretta e sorrisi smaglianti. Questa è la società che racconta Romina Bassu romana, classe 1982 - attraverso le sue opere, pennellate larghe veloci a riempire grandi tele. La produzione di questa giovane artista interpreta la massificazione, ma soprattutto la sua critica. Il gesto pittorico che cancella i dettagli dei personaggi che popolano le sue opere imita l'azione del tempo che trasforma individui dotati di una propria identità, in figure sbiadite, svuotate, coperte da un velo di malinconia. La dimensione individuale si perde in quella collettiva. In Anancastica, una delle sue opere più rappresentative, descrive la pratica del ricamo: le dita delle mani rosse, sanguinolente, creano inquietudine andando a scontrarsi con l'immaginario confortevole che il ricamo suscita nello stereotipo collettivo. L'artista ha all'attivo quattro personali e numerose collettive; ha partecipato ad Artverona 2015 e ad Artefiera 2016. «Mnemosyne» è la sua ultima personale. L'esposizione trae ispirazione dal lavoro di uno dei pensatori più importanti del '900, Aby Warburg: Mnemosyne o Atlante della Memoria.

L'artista prosegue con questa mostra il suo lavoro di studio sugli anni '50 che interpreta come scenario di protagonisti che appaiono come dei «primitivi», stereotipati nei loro ruoli sociali. Alcune opere sono in esposizione al Relais Rione Ponte Spazio Arte a Roma e dal 28 maggio la Bassu parteciperà ad una collettiva intitolata «Ri-allestimento» che si terrà in provincia di Novara.

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