I Muse sempre più apocalittici: "Orwell ha ispirato i nostri droni"

Nel nuovo disco svolta "heavy" della band inglese (in Italia a luglio). "Inutile fare rivoluzioni, proviamo a viver bene con noi stessi"

I Muse sempre più apocalittici: "Orwell ha ispirato i nostri droni"

A dirla tutta, i Muse sono rimasti gli ultimi dei mohicani. Pubblicano dischi con un capo e una coda e, in mezzo, un senso musicale e persino testuale. Rarità. E anche Drones , in uscita il 9 giugno, non fa eccezioni. Anzi forse è meno barocco e più ruvido del precedente The 2nd Law . E più letterario di The Resistance del 2009. «Quelli li avevamo prodotti, perdendoci dietro un bel po' di tempo, stavolta abbiamo suonato e basta, ritrovandoci come band», spiegano loro. Sono in tre, arrivano da Teignmouth che è un paesino del Devon inglese grosso più o meno come Acqui Terme. Se girano per strada li riconoscono in pochi e forse solo Matt Bellamy è ai confini della celebrità gossipara, se non altro perché si è appena separato da Kate Hudson dopo aver messo al mondo Bingham. Però hanno venduto un bel po' di milioni di copie dei loro dischi, vinto premi ovunque e, per capirci, suonano per ultimi in tutti i festival del mondo, ossia sono quasi sempre i più importanti in cartellone. Onestamente, un caso a sé. E anche Drones conferma che a vincere, nella musica leggera, sono poi soltanto due componenti: l'ispirazione e la lealtà. Poi puoi anche registrare dodici brani pieni zeppi di chitarroni e angoscia e per di più ben poco sexy (per usare un codice attuale) perché raccontano una storia sinusoidale: «La perdizione ( Dead inside ), la depressione ( Psycho ), la rinascita ( Revolt )» di un individuo. Un concept album come andava di moda negli anni '70 che può essere stato ispirato dalla fine di un amore (quello di Bellamy, ovvio) oppure dall'osservazione del mondo dopo aver letto i libri giusti. «Tutto è partito da Predators di Brian Glyn Williams che ho letto per curiosità e mi ha sorpreso elencando la quantità di esseri umani ammazzati dai droni in Afghanistan e Pakistan», spiega Bellamy, che parla più velocemente di un mitragliatore. Giusto il punto di partenza. Il drone racchiude, in sostanza, il potere di controllare a distanza il destino altrui. Da uno schermo. Da un altro continente. Con un pulsante. Potrebbero disegnare la trama di un film, i testi di questo Drones , e difatti sarebbero piaciuti molto a Stanley Kubrick. Ma sono anche il paradigma estremo del Grande Fratello, il controllo del pensiero e quindi delle azioni di un popolo, o di un pianeta. La legge di Orwell, per intenderci: «Lui ci ha sempre ispirato, inutile negarlo». Ad esempio in Defector si fa chiaramente riferimento al «brainwashing», al lavaggio del cervello: «La manipolazione della libertà, l'attrazione sessuale, la politica: è una tecnica che i governi oggi utilizzano più di prima», spiega Bellamy che fa riferimento esplicito alla Russia di Putin ma non a caso ha voluto inserire nel disco l'estratto di un discorso di John Fitzgerald Kennedy alla stampa americana nel 1961: «Parlava di come il totalitarismo nasca dalla manipolazione delle coscienze». Essendo in piena Guerra Fredda ovviamente l'obiettivo (non nominato) era il comunismo dell'Unione Sovietica. Però mezzo secolo dopo i Muse non hanno certo l'attitudine da rivoluzionari, anzi. In linea con i tempi (occidentali), sono più introspettivi e moderati. E difatti sentite Bellamy: «Fare la guerra ai vertici non porta da nessuna parte, è meglio “lavorare” su te stesso e provare a stare bene ugualmente. Ho sempre odiato chi vuole controllarmi ma mi sono reso conto che l'unica risposta possibile viene da dentro ciascuno di noi». E anche dalla possibilità di comunicare con il pubblico. A volume alto. Libero. I Muse saranno a Roma il 18 luglio e poi torneranno il prossimo anno, probabilmente negli stadi. «E lì vorremmo che i droni volassero sulla testa del pubblico», dice il batterista Dom Howard, un tipo pacatissimo ma che sul palco non fa prigionieri. Se ne sta dietro, come ogni buon batterista, ma senza di lui un disco che comprende discorsi di Jfk, trame orwelliane e addirittura una citazione dell'oscuro Requiem di Piergluigi da Palestrina non starebbe in piedi. È l'anello di congiunzione tra il rock e le visioni di Bellamy che, oltretutto, ha un chitarrismo molto vicino a quello di Brian May dei Queen.

Dopotutto, spiega, «a mio figlio che ha quasi quattro anni piace molto l'hard rock quindi può essere che nel prossimo disco saremo molto più aggressivi», scherza ma fino a un certo punto. L'unica sicurezza dei Muse è che, nell'epoca dei replicanti, loro non si replicano mai.

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