Pozzetto: "Milano, il Covid e il rapporto con Cochi: vi dico qual è la mia grande paura"

Renato Pozzetto ripercorre la sua carriera dopo la vittoria del Nastro d'argento speciale per l'interpretazione nel film 'Lei mi parla ancora' di Pupi Avati

Pozzetto: "Milano, il Covid e il rapporto con Cochi: vi dico qual è la mia grande paura"

"Cochi è il mio miglior amico. Tutt'ora ci vediamo e ci sentiamo spesso". Renato Pozzetto, fresco di vittoria del Nastro d'argento speciale per la sua interpretazione del padre di Vittorio Sgarbi nel film di Pupi Avati, 'Lei mi parla ancora', ripercorre la sua carriera artistica fin dagli esordi con l'amico d'infazia Cochi Ponzoni.

Lei e Cochi Ponzoni come vi siete conosciuti?

"Io e Cochi siamo figli della guerra. Ci siamo incontrati scappando da Milano perché avevano bombardato le nostre case e le nostre famiglie si sono incontrate sul lago Maggiore, a Gemonio. Così, fatalmente, siamo diventati amici e, finita la guerra, siamo tornati a Milano, ma ogni anno passavamo le vacanze a Gemonio, un paese di contadini che offriva poco per i giovani. Per divertirci tra di noi abbiamo cominciato a strimpellare la chitarra e a cantare canzoni popolari e, poi, intorno ai 15 anni, ci esibivamo durante le feste in casa tra amici".

E come avete intrapreso la vostra carriera?

"Poi conosciamo l'artista Piero Manzoni, un provocatore che tra le varie opere ha fatto la merda in scatola che ancora oggi è esposta in qualche museo importante. Con lui iniziamo a frequentare l'osteria l'Oca d'oro, in via Lentasio, una traversa di Porta Romana a Milano, frequentata da vari artisti tra cui Lucio Fontana. Lì vicino aprono una galleria d'arte notturna dove passano degli artisti come Gaber, Jannacci, Dario Fo, Maria Monti, i nostri miti di allora con cui diventiamo presto amici e iniziamo a cantare insieme. I proprietari della galleria d'arte decidono di aprire un cabaret dove io e Cochi debuttammo e venivano a sentirci Bruno Lauzi, Lino Toffolo e Jacqueline Perrotin, all'epoca moglie del mago Zurlì, Cino Tortorella. A un certo punto Jannacci ci comunica che ci vogliono a fare cabaret al Derby Club, già noto per le vie del jazz. Pian piano arrivano la radio, la televisione, il teatro e il cinema. Siamo partiti dalla disperazione che ci ha portato a cantare per il piacere di stare insieme e siamo arrivati dove siamo".

Perché avete interrotto la vostra collaborazione artistica?

"Quando ho avuto la mia prima figlia eravamo tutti e due ad aspettare l'evento e l'infermiera che ci ha fatto vedere la bimba ha detto: “Questa è la figlia di Cochi e Renato”. Non potevamo continuare fare tutto in due e, allora ognuno ha preso la propria strada anche perché nel cinema, se diventi una coppia, rimani tale e molte opportunità si chiudono".

Quando ha capito che avrebbe sfondato dal punto di vista professionale?

"Il punto d'arrivo è quando giri per strada, la gente ti riconosce e ti saluta. Noi avevamo fatto tanta televisione e, quindi, il pubblico ci ha seguito anche nel cinema".

Qual è il film migliore che ritiene di aver fatto? E il peggiore?

"Non posso fare una classifica del genere. Noi lavoriamo per il pubblico quindi l'interesse del pubblico dà un'idea della curiosità che uno prova verso l'attore che si esibisce. Ogni film è un'avventura in cui cambiano le storie, i registi, le musiche, i dialoghi, i compagni d'avventura e le troupe. Poi c'è il gradimento del pubblico, ma non è detto che corrisponda al fatto di aver fatto con piacere un lavoro che magari non ha avuto il successo che meritava".

Perché i suoi film, nonostante sbancassero al botteghino, sono sempre stati un po' sottovalutati dalla critica?

"Noi non lavoriamo per la critica, lavoriamo per il pubblico. Io ho fatto 70 film perché il pubblico veniva e viene a vedermi. Se non fosse venuta la gente a vedermi, avrei fatto un altro mestiere".

Cos'ha provato nel vincere il Nastro d'Argento per un ruolo drammatico?

"È un buon riconoscimento. Ho accettato di fare il film per me, non per i riconoscimenti. Ho letto la sceneggiatura, mi piaceva, mi sono emozionato e, nonostante mi fossi misurato sull'umorismo per tutta la vita, ero sicuro di farlo bene e così è stato".

Cosa pensa del 'politicamente corretto'? Un film come La patata bollente sarebbe ben accolto oggi?

"La patata bollente era un film sul rispetto di persone che gradivano vivere a loro modo e, quindi, il rispetto per il prossimo. Oggi è normale girare un film di quel tipo, ma all'epoca, siccome io facevo film divertenti si presumeva che prendessi in giro la situazione e, invece, l'ho trattata con molto rispetto".

Come ha trascorso quest'ultimo anno caratterizzato dal covid e dalle quarantene?

"Come ha raccomandato la scienza. Sono stato chiuso in casa. Quando abbiamo fatto il film, abbiamo preso tutte le precauzioni: visite, tamponi e mascherine. Seguendo le regole, sono riuscito a far bene".

Le hanno mai proposto di entrare in politica o lei ha mai avuto la tentazione di fare politica come il suo collega Grillo?

"Bruno Lauzi mi aveva pregato di dare la mano al suo partito e, siccome lui era una persona onesta, mi sono presentato al collegio di Milano o Pavia (ora non ricordo). Sono andato bene, ma poi ho girato i voti al partito perché non me la sentivo di impegnarmi in quel settore".

Perché ha deciso di aprire la 'locanda Pozzetto'?

"È un posto bellissimo, una cascina che avevo comperato con mio fratello Achille. Si trova sul Lago Maggiore, immerso in una natura bellissima con una vista eccezionale. Quando il rustico ha iniziato a dare segni di vecchiaia, io e mio fratello l'abbiamo restaurata e l'abbiamo trasformata in un posto per i turisti. Abbiamo ricavato una decina di camera e abbiamo fatto un ristorante che si affaccia sul lago Maggiore. Chi ci va, non sbaglia".

Cosa significa per lei Milano?

"Milano è la mia città dove ho vissuto con i miei genitori e i miei fratelli. Sono rimasto molto attaccato ai miei familiari. Tutt'ora abito in un palazzo dove ci sono i miei figli e tutti i giorni vedo le mie nipoti e io sono felice".

Qual è la sua più grande paura?

"Vista l'età di non soffrire troppo quando lascerò nel momento fatale".

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