«La vita è come il jazz. Ti offre dei temi. Poi tu devi improvvisarci sopra». La suggestione musical-esistenziale ispira insomma, nelle parole di Thomas Trabacchi, lo stile caratteristico de L'Alligatore: serie in quattro appuntamenti (da stasera su Rai Play, dal 25 su Raidue) tratta dai romanzi bestseller di Massimo Carlotto, di cui, assieme a Matteo Martari e Valeria Solarino, Trabacchi è protagonista. «La musica è infatti centrale, in questa storia spiega la Solarino - Non solo per la professione dei suoi personaggi. Ma perché c'è fra loro una tensione sentimentale ed erotica il cui centro è proprio la musica. Ciò che li teneva assieme, che poi li ha separati, e infine di nuovo riuniti».
«Alligatore» è il nome d'arte di Marco, un ex cantante. Appena uscito da sette anni di galera, dopo un'ingiusta condanna, Marco (Martari) tenta da una parte di riagganciare Greta (Solarino), con cui una volta aveva un sodalizio musicale e amoroso; dall'altra di togliere dai guai un ex collega di cella con l'aiuto di Rossini (Trabacchi), un altro compagno di detenzione. Il tutto incrociando un bizzarro mondo fatto di contrabbandieri, animalisti e danzatrici del ventre; cercando cioè di muoversi ugualmente bene proprio come fa un alligatore - tra la realtà sommersa e quella fuori dell'acqua. Tra un mondo reale ed uno fasullo.
«I romanzi di Carlotto offrono una straordinaria densità di suggestioni, mescolando fra loro tanti generi diversi riflette il regista della serie, Daniele Vicari - Per questo sono seducenti; ma anche complessi da tradurre in immagini. Permettendo nel contempo una grande varietà di ispirazioni differenti». Ecco spiegato perché il pubblico ritroverà ne L'Alligatore suggestioni che vanno dal trhiller alla graphic novel; riconoscerà nei due amici l'Alligatore e Rossini gli archetipi di Starsky ed Hutch; nei capelli di Rossini un taglio vagamente Pulp Fiction; nei comportamenti del protagonista qualcosa che riporta allo stile dei fumetti, ma anche a quello dei rocker anni '50 e '60. «I personaggi di Carlotto sono persone ai margini li descrive Trabacchi - non hanno quasi niente da perdere, perché hanno già perso molto. Il che da loro la libertà di vivere come vogliono. E a noi attori di interpretarli con altrettanta libertà». Il che, in termini cinematografici, significa che il regista ha lasciato ai suoi interpreti un certo margine d'improvvisazione; «proprio come accade nel jazz, dove il tema portante è d'obbligo, ma gli sviluppi sono personali».
Non basta: il protagonista dell'adattamento televisivo (operato in stretta collaborazione con lo stesso Carlotto) «è stato scelto per una sua caratteristica unica - spiega Vicari - Matteo Martari sa esprimere infatti malessere e, al tempo stesso, ironia.
Una contraddizione tipica del suo personaggio, che è un investigatore che non spara, come è un cantante che non canta. Perfino il suo accento dialettale veneto riporta ad un tipico spirito lagunare, che sa essere insieme triste, allegro, e duro».
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