L'amicizia a colpi di penna tra Cioran ed Eliade

Le lettere tra i due scrittori romeni raccontano un dialogo filosofico durato mezzo secolo

L'amicizia a colpi di penna tra Cioran ed Eliade

Se fosse possibile eternare l'anima della Romania in una foto, quella scattata nel 1977 a Parigi da Louis Monier, in cui si vedono uno accanto all'altro Cioran, Eliade e Ionesco, ne sarebbe la perfetta figurazione. Paese malato di nostalgia, cantato dai suoi esuli, arginato nelle libertà e nel progresso dalle tirannie, la Romania si svela magnificamente in quelle tre figure.

Ottima è l'operazione di Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortanel raccogliere e tradurre mezzo secolo di corrispondenza integrale tra Cioran e Eliade (Una segreta complicità. Lettere 1933-1983, Adelphi, pagg. 300, euro 22): un carteggio composto da 146 lettere (96 del primo e 50 del secondo) in cui sfumature su vicende private, confessioni, disillusioni, giudizi critici, arricchiscono e completano le biografie.

Un'amicizia antica. A Eliade, questo «giovane biondo, con i capelli scompigliati sulla fronte che mostra una cultura filosofica e letteraria eccezionale», viene presentato nell'inverno 1932, al ritorno da un soggiorno in India dove si è dedicato allo studio dello yoga, del tantrismo e dell'alchimia indiana. Cioran, al contrario, lo conosce fin dagli anni del liceo quando, «da esaltato, ma da esaltato lucido», corre con voluttà verso l'edicola per accaparrarsi gli ultimi articoli pubblicati. I due si annusano, con reciproca stima, sin dall'inizio. Si toccano di fioretto e poi di sciabola, e si stimoleranno così fino alla fine. E, visti gli esiti, si ha la sensazione che questo sodalizio tra diversi non poteva che strutturarsi alimentandosi nel contrasto e nelle antinomie: «Benché scrive Cioran, già nel 1935 - io provi per te un'infinita e non smentita simpatia, a volte sento il desiderio di attaccarti, senza argomenti, senza prove e senza idee». Nello stesso anno, dopo aver letto lo Yoga, rincara la dose: «Per tutta la vita ho amato il nichilismo; ma quando lo incontro organizzato e consacrato, come è il caso di alcune scuole indiane, ridivento transilvano». Nei primi tempi, nemmeno Eliade arretra. Quando, però, negli anni '80, una serie di maldicenze incrociate e malintesi, coinvolgerà i due e anche Ionesco (ci cui nelle lettere c'è però poca traccia), Cioran chiuderà il capitolo in modo sarcastico: «Baruffe tra scrittori, tra puttane che battono lo stesso marciapiede».

Il temperamento incide molto sulle modalità del rapporto ma è un legame che, oltre alle reciproche collaborazioni, alle mediazioni con editori, alle recensioni reciproche, ai viaggi in comune, alle più intime confessioni, si fortifica grazie alla latente malinconia per la patria lontana che mai cessa di essere citata o maledetta. Eppure, sono le ristrettezze economiche a rinsaldare il sodalizio e che, nei momenti più duri, superano grazie alla mutua assistenza: «Per il momento - scrive Cioran nel 1935 - sono al verde, così mi sono impegnato ancora per altri romanzi». E nel 1937, in due diverse lettere, prima scava un solco: «Questa sostanziale povertà mi inchioda allo spazio come un condannato» e poi marca il confine invalicabile: «Sono un autore senza lettori e spennato da editori bestiali. Sul mio spermatozoo c'era scritto: infelicità». Anche Eliade non si perde in inutili circonlocuzioni e si definisce un morto di fame («Mi sono messo a rincorrere i conoscenti a caccia di abbonamenti. Sono completamente al verde») ma nel 1941, da Cascais, non fa mancare una tangibile vicinanza all'amico: «Disponiamo di una stanza per gli ospiti che ti aspetta. Alloggerai da me e i soldi per le piccole spese te li presterò io».

Un filo conduttore che permane inalterato nei decenni sia nei suoi confronti («L'assegno accluso permetterà, a te e Simone, di trascorrere una settimana in montagna», 1967) che verso amici e familiari restati in Romania («Grazie per la tua lettera e per i mille franchi scrive Cioran nel '70 - che distribuirò, a tuo nome, ai nostri miserabili connazionali»). A marcare percorsi dissimili è però l'approccio alla vita e questo carteggio ne svela le due principali linee di frattura. La prima è tracciata da Eliade che non gradisce l'ossessiva tanatologia di Cioran e gli muove delle critiche. Ma questi non arretra di un millimetro: «A dirla tutta, - scrive nel '72 - la mia decisione era già presa: non tirarla tanto per le lunghe, finirla al più presto». E l'anno dopo ancora: «Una volta alla mia età si moriva. Erano i bei tempi in cui non si aveva l'indecenza di sopravvivere a sé stessi».

La seconda frattura la traccia Cioran il quale non giustifica né comprende la bulimia dell'amico verso ogni sorta di cultura e religione. Studioso di fama mondiale, Eliade gira molto. Ha sete di conoscenza. Non disdegna incarichi e uffici di vario tipo così come festeggiamenti, encomi pubblici, popolarità. Cioran, al contrario, sin dal suo ingresso nel mondo quando diserta le aule universitarie («Uno studente dal viso corrugato, che non parlava mai con nessuno») allena la solitudine e si concentra sul suo mondo interiore. Quando a 22 anni parte per la Germania, dove resta per due anni, a fargli compagnia è l'insonnia e la costante presenza di pensieri suicidi: «Sono venuto in Germania per risolvere i miei problemi e mi sono ingarbugliato ancora di più». Qui, peraltro, iscriverà il suo primo libro, Al culmine della disperazione, a un concorso per opere inedite dove sarà premiato in absentiam nel '34, da una giuria in cui è presente proprio Eliade.

Ma a dividerli è proprio questa foga enciclopedica, questo approccio veemente al sacro e allo studio delle religioni che, come preciserà Eliade quasi a trovare una giustificazione, non voleva affatto essere erudito, ma ermeneutico. Se tuttavia egli brama il sacro in ogni direzione, Cioran ne percepisce l'assenza ed è infastidito dalla rincorsa ossessiva dell'amico che mai si placa: «Un dio esiste per essere adorato o ingiuriato. Non ci s'immagina un Giobbe erudito». E infatti non comprende come la ricerca dell'assoluto e questioni spirituali profonde non portino a una lacerazione interiore. O forse lo si può fare nascondendo la verità a se stessi perché «siamo tutti, Eliade in testa, ex credenti, siamo tutti spiriti religiosi senza religione».

Se consideriamo il ripudio che Cioran ha per ogni forma di mondanità, il necrologio che scrive per la morte dell'amico, sin dal titolo ironicamente provocatorio, «Finalmente un'esistenza compiuta!», è l'atto d'amore finale che ricompone ancora una volta il puzzle.

Lo stesso che aveva fatto Eliade nell'ultimo giorno di vita «cosciente», quando, seduto sulla poltrona, si fa portare Esercizi di ammirazione, libro appena stampato e in cui Cioran gli fa un ritratto spietato. Quando la moglie torna in stanza lo trova sorridente e con il libro aperto in mano. Ha perso i sensi e verrà portato in ospedale dove morirà due giorni dopo.

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