Viene proprio voglia di riesumare un vecchio aneddoto per cominciare a parlare de L'anomalia di Hervé Le Tellier (La nave di Teseo, pagg. 368, euro 20, traduzione di Anna D'Elia).
Alfred Hitchcock raccontava a François Truffaut, nella lunga intervista che il regista francese gli fece nel 1962, una storiella: uno sceneggiatore al quale gli spunti migliori vengono sempre nel mezzo della notte, decide di mettere carta e matita accanto al letto. Certo dell'ennesima idea formidabile, la mattina si sveglia e legge sul foglietto: «Ragazzo si innamora di una ragazza». «Idee formidabili si rivelano spesso insignificanti il mattino seguente», commenta Hitchcock. Ma la verità è che una storia d'amore, se ben scritta, è geniale, la più antica di tutti i tempi, e funziona sempre.
È ciò che accade anche nel romanzo di Le Tellier, un cigno nero letterario, imprevedibile, geniale, sì, ma in modo così tradizionale da risultare anticonformista, controcorrente e a suo modo sperimentale: i personaggi de L'anomalia vivono, amano e muoiono. Le loro storie sono una teoria di storie già viste in tanti altri romanzi e prese così, di per se stesse, non hanno in fondo nulla di davvero speciale. Ma poi si scopre che questi stessi personaggi hanno un alter ego che vive più profondamente, che ama diversamente, che muore con qualche risposta in più. E L'anomalia si accende della vita del doppio, delle infinite possibilità delle sliding doors. Già visto? Forse. E proprio per questo irresistibile.
Il pretesto è quello di un incidente aereo: è il 10 marzo 2021 e sono le 16,13 quando davanti al volo AF006, a sud della Nuova Scozia, si presenta un fronte nuvoloso di proporzioni a dir poco gigantesche: si estende a semicerchio per centinaia di chilometri e a un'altezza che lo porta in collisione con il Boeing 787 in volo tra Parigi e New York. Dopo il primo violento scossone, il copilota cerca tra le carte la conferma che non vi era alcuna segnalazione di quelle nuvole vaste come il destino dell'umanità. L'aereo scompare, senza saperlo, in un angolo cieco spazio-temporale: il risultato sarà, dal punto di vista spazio temporale, un paradosso per cui l'aereo atterrerà due volte, a marzo e a giugno. Facendo impazzire Cia, FBI, militari e altri servizi segreti di mezzo pianeta, che vogliono capire chi si nasconda dietro le identità di questi stessi passeggeri, già registrati tre mesi prima. Tre mesi in cui ai nostri personaggi accade tutto e niente, perché tutto prende luce solo se visto nella distorsione retrospettiva: illusione suprema, oggi, qui, in un mondo che pretende di spiegare le tragedie prima ancora di provare a gestirle. La vena concettuale attorno a cui si svolgono le storie è infatti quella del clone, di essere qui e ora e noi stessi, ma anche altrove e qualcun altro, magari simulando: possibilità pienamente contemporanea, che però esprimiamo quasi del tutto nel virtuale e nei suoi globali ed esponenziali tentacoli e pochissimo nel letterario.
Le Tellier invece - che con L'anomalia, nell'ordine: ha vinto il Goncourt 2020; si avvia a piazzare il milione di copie (secondo romanzo più venduto nella storia del premio dopo L'amante di Marguerite Duras e prima de Le benevole di Jonathan Littell); raggiunto le 34 lingue in corso di traduzione; ottenuto l'avvio dell'adattamento a serie televisiva - se ne frega del corso delle cose. Ripropone - proprio in un libro, proprio in quel romanzo che in troppi incapaci di scrivere e di leggere credono finito - un trucco da prestidigitatore del Novecento e si diverte come un pazzo a raddoppiarne la portata, dando a ogni elemento il suo gemello: due aerei, due equipaggi, due liste di passeggeri, due piloti, due bambine, due killer spudoratamente borghesi, due architetti di nome André innamorati di Lucie, due popstar di nome Slimboy che forse sono gay e hanno tentato il suicidio per amore, due scrittori di nome Victor Miesel, autori di L'anomalia, romanzo presentato a un incontro dal titolo «La doppia vita di Victor Miesel»...
Il romanzo è in realtà una galleria di romanzi e di stili e di voci. È letteralmente popolato di personaggi, come non accadeva da mezzo secolo. Ha un titolo che non si autocompiace, passa via e non cita niente e nessuno. E soprattutto è stato scritto con il compito di esser gradito prima di tutto al suo autore, che in Italia è quasi sconosciuto - pubblicato con un solo libro, Adesso basta parlare d'amore, nel 2011 da Mondadori - ed è anche il quarto presidente dell'Oulipo (acronimo di Ouvroir de Littérature Potentielle) il gruppo di scrittori e matematici fondato nel 1960 da Raymond Queneau allo scopo di autovincolarsi artatamente - nel creare - per creare meglio.
Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per un fiasco col botto e in teoria tutti quei doppi che ritornano in capitoli circolari sono perfetti per far venire il mal di testa. Se non fosse che il giro di valzer cattura dalla prima pagina, perché è sempre la solita storia, ma accidenti se è ben scritta.
E accidenti se due vite sono meglio di una: uno dei due piloti malati terminali potrebbe non morire, uno dei due architetti potrebbe imparare ad amare invece che mettere al centro solo il desiderio, le bambine potrebbero giocare insieme e gli Slimboys, chissà, dimostrare, se e quando si incontreranno, che il «perturbante del doppio narcisistico e dello specchio interiore» definito da Freud non spaventa, non angoscia, non trasforma. Anzi, fa venire fame: una benedetta fame di confessare all'altro sé che cosa ci serve per essere felici.
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