Pier Carlo Bontempi, l'architetto trova casa alla tradizione tradita

Non si cura delle mode, si ispira ai grandi (veri) maestri. E i suoi progetti sono oasi di proporzione

Pier Carlo Bontempi, l'architetto trova casa alla tradizione tradita

Per anni e anni, diciamo pure decenni, per meritare mediatiche lodi gli edifici dovevano assomigliare a frane (Frank O. Gehry), vibratori (Norman Foster), vetri rotti (Daniel Libeskind), scheletri di dinosauri (Santiago Calatrava), astronavi (Zaha Hadid). Poi la moda è cambiata e adesso gli edifici devono assolutamente somigliare a boschi (Stefano Boeri).La chiassosa adulazione verso le succitate archistar ha impegnato tutta l'attenzione dei semicolti e sono in pochi a conoscere il nome di un architetto le cui case somigliano a case, i cui palazzi somigliano a palazzi, le cui piazze somigliano a piazze: Pier Carlo Bontempi. La sua opera relativamente più nota, relativamente perché recentissima e perché troppo umanistica per le masse che venerano la tecnica, è il Labirinto della Masone, l'insieme di edifici che completano il più grande labirinto del mondo voluto da Franco Maria Ricci a Fontanellato, nella Bassa Parmense. Ma proprio per la sua assoluta straordinarietà (c'è perfino una piramide) non è questo il progetto che mostra come Bontempi può migliorare la nostra vita quotidiana. Place de Toscane, la meravigliosa piazza ellittica costruita ex novo alle porte di Parigi, ispirata alla lucchese Piazza Anfiteatro, è più abitabile di un labirinto ma piuttosto fuori mano e comunque monumentale, con quell'obelisco al centro.Esiste un bello bontempiano più vicino e più avvicinabile che si può ammirare in Pier Carlo Bontempi. Architettura e tradizione, pubblicato proprio da Franco Maria Ricci perché il grande esteta e collezionista dopo l'inaugurazione del labirinto è tornato a fare l'editore come ai bei tempi di FMR, della Biblioteca di Babele diretta da Jorge Luis Borges e delle prime prove di Vittorio Sgarbi (penso alla monografia del 1983 dedicata a Domenico Gnoli). In questo volume che racchiude l'opera omnia dell'architetto parmigiano, impreziosito dalla prefazione di un fan piuttosto famoso, «SAR Carlo d'Inghilterra, Principe del Galles», sono numerose le case che sarebbero piaciute a Ludovico Ariosto. Su ognuna di esse potrebbe essere applicata la scritta che si trova sulla casa ferrarese del poeta: «Parva, sed apta mihi». Piccola ma adatta a me, anche se piccola va intesa col metro della nobiltà rinascimentale a cui Ariosto apparteneva.Anche per Bontempi «piccolo» non significa «angusto», bensì a misura d'uomo, immune dalla tracotanza che è il vizio mortifero delle archistar. Roberto Peregalli, filosofo dell'abitare, ha scritto contro gli architetti che «fanno a gara per progettare un edificio più alto, più grosso, più strano di quello del collega. Questa sete di gigantesco ha ferito i luoghi profondamente. Sono monumenti che dimostrano hybris». Bontempi è il meno competitivo e presuntuoso degli architetti, insomma è l'esatto contrario di Fuksas, basta leggere la postfazione autobiografica in buona parte occupata dall'elogio dei maestri moderni, Adolfo Natalini che fu suo professore all'università di Firenze (e trait d'union con Aldo Rossi), e Leon Krier che è il caposcuola del New Urbanism (e trait d'union con Carlo d'Inghilterra), e dei maestri antichi, una lunga lista in cui i nomi più determinanti mi sembrano quelli di Sanmicheli, Palladio e Vasari.Basta guardare le fotografie dei lavori realizzati e in particolare dell'Isolato Sant'Anna di Fornovo Taro, anti-egoico intervento di ricucitura urbana di quelli che Renzo Piano auspica ma che poi non fa (e come potrebbe, lui che deve fama e laticlavio allo sventramento su cui ha piazzato il Beaubourg). O l'ancora più discreto, delicato progetto di Sala Baganza, il ripristino del parco della Rocca Sanvitale realizzato insieme al paesaggista Paolo Pejrone. «Ora i tempi lunghi della natura porteranno il giardino alla sua maturità e alla sua eleganza» dice Bontempi con parole che palesano il suo animo poetico, la serenità che i suoi lavori emanano. Secondo Stendhal la bellezza promette la felicità. Le residenze bontempiane vanno oltre, perché la felicità la mantengono: basta osservarle per stare meglio, confortati dalla presenza di oasi di proporzione e armonia in un mondo in preda al caos e alla dissonanza. Logge, porticati, pergolati, colonne, travi di legno, mattoni a vista, pietre locali, altane, persiane, terrazze sono elementi di una classicità cordiale, evocazioni di perenne umanesimo e repertorio della memoria.

Ecco dunque ville che sembrano proprio ville, inserite in un paesaggio italiano che sembra proprio un paesaggio italiano. Ecco dunque perché i barbari, perfettamente identificati da Richard Millet come coloro che rifiutano di ereditare, Bontempi non lo possono soffrire.

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