L'arte nella post-storia? Non solo tecnica e bellezza

Per il filosofo e critico d'arte Arthur Danto la fruizione dell'opera, dalle "Brillo Box" di Warhol, non è più affidata all'occhio ma alla mente

L'arte nella post-storia? Non solo tecnica e bellezza

Il merito della diffusione e della conoscenza del pensiero del filosofo e critico d'arte statunitense Arthur Danto (1924-2013) in Italia lo si deve in larga parte a Demetrio Paparoni. Storico e critico d'arte, Paparoni per diciassette anni ha diretto Tema Celeste, rivista d'arte che puntò più sulla teoria che sull'attualità, ospitando regolarmente i contributi del filosofo americano, considerato a tutti gli effetti l'erede di Clement Greenberg.

Danto è autore di alcuni saggi critici fondamentali: La trasfigurazione del banale, La destituzione filosofica dell'arte, L'abuso della bellezza, Dopo la fine dell'arte e uno studio su Andy Warhol. Un «filosofo pop», nonostante i titoli impegnativi dei suoi libri. Esce ora la raccolta di interviste Arte e poststoria. Conversazioni sulla fine dell'estetica e altro (Neri Pozza) comprese tra il 1995 e il 2011, cui hanno partecipato artisti come Mimmo Paladino e Sean Scully oltre al filosofo Mario Perniola.

Danto amava riferire come decisivo l'incontro con le Brillo Boxes di Andy Warhol, nel 1964, considerandole opera primaria a definire la sensibilità contemporanea. Di fronte a quelle scatole in legno, ancora fatte a mano e solo leggermente diverse dal contenitore originale in cartone disegnato da un tal James Harvey (pittore espressionista astratto di poca fortuna), Danto si chiede perché una sia un'opera d'arte e l'altra no. «La risposta è che Warhol con la sua opera pone una serie di domande che la scatola del prodotto commerciale non pone», definendo in pratica che cos'è l'arte concettuale, «che non è più in grado di dare una definizione di se stessa. Ha dunque bisogno della filosofia per esplicitare le proprie ragion d'essere».

L'opera d'arte, secondo Danto, ha «un significato incarnato». Oggi l'arte è disinteressata alla ricerca della bellezza, anzi neppure sappiamo di cosa si tratta, l'accademismo del ben fatto è pura anticaglia: «ad attrarci spiega Paparoni nella prefazione - è il fatto che essa è più stimolante per la nostra mente che per la nostra retina», anche se c'è in giro ancora troppa gente che discerne sulla base del mi piace o non mi piace. Navigando tra gli eredi del Minimalismo astratto e soffermandosi sugli Appropriazionisti (come Richard Prince, Sherrie Levine, Mike Bidlo), verrebbe da escludere grandi pittori figurativi come Bacon, Freud e Hockney, ma la linea evoluzionistica non si può applicare pedissequamente all'arte. È un anticipo del postmoderno, anche se Danto preferisce chiamarla l'epoca della «poststoria».

Dissertando sulla fine dell'arte, lontana dall'idea hegeliana sopraggiunta quando essa avrebbe perso la propria autosufficienza, con Brillo Box «si verifica per la prima volta che un'opera d'arte contemporanea è identica a qualcos'altro realizzato in precedenza». La differenza più evidente è che non il valore visivo ne definirà il significato ma le motivazioni filosofiche. «A giungere al capolinea non è cioè l'arte, ma un modo di intenderla e, con esso, un certo modo di fare critica d'arte».

Eppure gli artisti spesso non la pensano così. Nel dialogo che coinvolge un autore profondo e raffinato come Mimmo Paladino emerge comunque una certa idea di bellezza non scevra dalla tecnica: «La cosa più importante sostiene - è che all'artista sia consentita una totale libertà espressiva. Il disegno va considerato come lavoro autonomo e non come progetto. Nell'operare, le strade percorribili sono molte, non una sola. È questo, probabilmente, il senso filosofico del mio modo di lavorare».

Uno dei temi più attuali di questo straordinario interloquire è la difficoltà, attraverso l'arte, di prevedere il futuro. Quando Paparoni e Danto si interrogano è il 1998, un tempo in cui si intravedeva nel cinema la possibilità di una sintesi. Il filosofo lo definisce un linguaggio troppo popolare per «avventurarsi in narrazioni complesse», a differenza della pittura. Le potenzialità del cinema starebbero nell'entertainement. «Non credo aggiunge Paparoni - che i registi del XXI secolo saranno granché diversi dall'attuale, perché non si possono aggiungere nuove emozioni a quelle alle quali siamo già abituati». Sono passati vent'anni e tutto è cambiato, linguaggi, supporti, modalità di fruizione, sempre più artisti usano un cinema che si è geneticamente modificato fino a rendersi irriconoscibile.

L'ultimo scambio, via mail pochi mesi prima della morte di Danto, è rivelatore di una profonda amicizia oltre alla stima intellettuale.

Racconta di un viaggio in Italia da giovane, di come rimase colpito da due dipinti di Picasso e Guston, da lì la decisione di fare l'artista a cui presto si sovrappongono gli studi in filosofia, il difficile rapporto con Greenberg che segna la distanza tra due generazioni per una nuova lettura dell'arte che include nuovi linguaggi come Fluxus o il femminismo - e una diversa presa di coscienza sulla realtà.

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