Da Leopardi a Saba, che malattia l'amore

Thomas Mann non c'è. Eppure c'è eccome. Perché il «Mon Repos» somiglia tanto al sanatorio Berghof di Davos, anche se al posto di una montagna incantata qui c'è un mare incantato, un mare che sulle prime sembra di cartapesta e che invece, nello sviluppo della narrazione, sa di sensualissima salsedine e di tragiche avventure, e che addirittura reca in dono Napoleone, giunto a bordo della «Northumberland» per una tappa fuori programma prima dell'ultimo viaggio verso l'esilio... Thomas Mann non c'è perché il suo rapporto con la moglie Katia non può certo essere annoverato fra quelli più travolgenti. Eppure c'è eccome, visto che anche stavolta gli ospiti devono «acclimatarsi a queste latitudini», e che anche stavolta la vera protagonista è una malattia inguaribile.
Si chiama ovviamente «amore», la malattia intorno a cui Roberto Pazzi avvolge oniricamente il filo del suo D'amore non esistono peccati (Barbera, pagg. 276, euro 14,90). E migliore appropriazione non indebita non avrebbe potuto compiere, l'autore, per titolare il romanzo. Il verso di Vittorio Sereni da Quei bambini che giocano è il lasciapassare che libera tutte le figure drammatiche presenti nelle stanze del «Mon Repos» e nell'adiacente «castello del sonno». Un Narratore occasionale e quasi inconsapevole che racconta in prima persona e ignora quasi tutto di sé e che ben presto viene ribattezzato da tutti Mercuzio («Mercuzio tu parli di niente», sussurra la penna di Shakespeare mentre Pazzi scrive...) incontra l'amor sacro e l'amor profano di Romeo e di Giulietta, di Oscar Wilde e di Alfred Douglas, dell'ormai ex imperatore corso e di Giuseppina, di Carlo Michelstaedter e di Nadia Baraden, di Marguerite Yourcenar e di Grace Frick, di Abelardo ed Eloisa... Nella sua stanza 407 dove riceve le visite notturne d'una caldissima eppure incorporea cameriera (forse una sirena emersa dalle acque dell'oceano erotico), il Narratore esamina, confronta, insegue l'inesistente ragione di tali e tante storie che ragione non hanno, ma soltanto passione. E la solitudine di Potocki, di Kavafis, di Saba, di Leopardi (per quanto Giacomo sia sceso all'hotel in compagnia della sorella e del vacuo Ranieri - anzi, forse proprio per questo...). Tutto concorre, nell'allegoria del sogno letterario e storico, ad affermare negando, ad affogare in acque primordiali e tumultuose le creature amorose che il mondo crudele non può accettare.

Perché all'incolpevole amore no, non si addice la clemenza degli altri. «Ma la distorsione del tempo/ il corso della vita deviato su false piste/ l'emorragia dei giorni/ dal varco del corrotto intendimento:/ questo no, non lo perdoneranno».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica