Lettera d'amore all'Italia. Firmata Ligabue, la rockstar di Correggio che lancia la sua commedia corale Made in Italy (da giovedì, con 440 copie distribuite da Medusa) come una freccia nel cuore palpitante di chi si riconosce nel Belpaese, martoriato e stupendo com'è. Sì, è una fiamma mai spenta, la sua, dai tempi di Radiofreccia (1998) e Da zero a dieci (2002), quando raccontare storie di ordinaria quotidianità, che si fa epos o dramma tra Rimini e Correggio, significava stare al passo con le canzoni e i concept album del cantautore. Seguendo la gente semplice e corretta, quella che non ha voce e ubbidisce alla legge del furiere: fare il proprio dovere. Come in questo film sentimentale, «con stati d'animo tirati in faccia allo spettatore», per dirla schietta col rocker-regista, di ritorno sul grande schermo a vent'anni dal suo esordio e a due dall'undicesimo album omonimo del film. Dove il protagonista Riko (Stefano Accorsi, a rischio inflazione: a breve, lo vedremo nel nuovo film di Muccino), operaio a 1.200 al mese in una ditta che insacca mortadella, manda giù rabbie e frustrazioni, spegnendo la tv se il tg parla di economia. «Lo spread! Sono riusciti a farmi stare in pensiero per lo spread!», lamenta il povero cristo, sposato con la parrucchiera Sara (Kasia Smutniak).
I due sono in crisi, nonostante la passione che li cementa, e a complicare le cose interverrà il licenziamento di Riko. Intorno, i sodali di una vita, Correggio con le sue colline, il Po che inghiotte un amico malato e che potrebbe trascinar via anche l'operaio disoccupato, se questi non scoprisse la forza del cambiamento. Una nuova città, Francoforte, dove lavorare. E una nuova vita: la moglie aspetta il secondo figlio... «Se ti àncori a due-tre certezze, non hai voglia di cambiare. Ma il cambiamento è una costante della vita. Cambia il nostro modo di guardare le cose. Made in Italy nasce come progetto balordo: è anacronistico fare un concept album negli anni Duemila. E so come oggi si ascolta la musica... Girare film è mestiere faticosissimo: è come progettare le emozioni», ragiona il Liga, abituato al fluire delle emozioni sul palco, come testimonia il record di Campovolo, straordinario concerto del 2015 (150mila persone all'aereoporto di Reggio Emilia), che omaggiava i suoi 25 anni di carriera e che è diventato il film-concerto più visto di sempre. Non è stato facile neanche inseguire per anni il produttore Domenico Procacci, pronto a negarsi al telefono: incerto il mercato, incerto il finanziatore. «Vedo l'Italia in una importante fase d'incertezza. Ho cominciato 10 anni fa, a raccontare il mio amore verso questo paese, con Buonanotte all'Italia. Mi chiedo perché nessun italiano faccia le vacanze a Roma, o una luna di miele in Italia. Siamo assuefatti alla sua bellezza e rassegnati al malfunzionamento», riflette il regista, che qui filma una Capitale mozzafiato, stupenda come da routine: dopo Beata follia di Verdone, è la seconda volta, a inizio anno, che la città splende di luce propria, al cinema, lontana dalle miserie di un'amministrazione volgare.
Neanche per Kasia Smutniak è stato semplice girare sotto gli occhi del compagno e produttore, disposto a nascondersi sul set dopo il divieto di Kasia a presenziare. «Lavoriamo male insieme: Procacci mi mette in soggezione. Per il mio personaggio mi sono ispirata al coraggio delle donne, alla loro coerenza. La mia Sara è una donna risolta. Lavorare con Ligabue? Facile, perché già conoscevo la sua base musicale», racconta Kasia, riservata come una scolaretta sotto lo sguardo vigile del produttore, anche padre del loro figlio Leone.
E se il cinema narra, perlopiù, storie di accattivanti cattivi, qui i personaggi autentici e «normali» abbondano, ricalcati sugli amici d'infanzia di Ligabue. «Di solito si cercano i cattivi, ma qui i personaggi sono autentici. Come il mio Riko, che passa attraverso una grande storia d'amore.
E' importante dare voce alle brave persone: in questo film c'è tanta verità», sottolinea Accorsi, che ha una battuta formidabile: «Mio nonno ha costruito la nostra casa. Mio padre l'ha ampliata. E io non riesco a mantenerla». Un clic dell'Italia, adesso, a un passo dalle elezioni.
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