Dino Cofrancesco
Sulle origini, sulla natura, sulle funzioni della teoria del complotto sociale sono state scritte centinaia di migliaia di pagine pur se non così numerose come quelle pubblicate su Internet da quanti, paranoici o no, ci svelano i segreti delle centrali occulte di potere che lottano per il dominio del mondo. A volte, però, gli analisti si lasciano prendere la mano e,in un delirio scientistico, arrivano a censurare trasmissioni come Voyager di Roberto Giacobbo, accusato di sfruttare il fascino dell'occulto. In genere, c'è ampio accordo sulla genesi della plot theory crisi sociale epocale, tramonto delle vecchie credenze religiose, traumi causati da guerre e rivoluzioni assai meno sulla sua essenza. In un'accezione forte, il complotto rinvia a un pugno di uomini, cinici e violenti che tramano nell'ombra per asservire, nella loro sete di potere assoluto, l'intero genere umano insomma il Dr. No di Ian Fleming nemico dell'agente 007, quello con licenza di uccidere. In un'accezione debole, invece, la teoria cospirativa della società si basa sulla «convinzione che la spiegazione di un fenomeno consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo» (K. R. Popper). In base a questa accezione, il peccato originale del complottista sta nel non tener conto della complessità della storia, degli effetti inintenzionali dell'agire umano, della pluralità delle cause che producono i mutamenti sociali, del caso stesso, al quale si deve se talora poca favilla gran fiamma seconda. Se questo è vero, gran parte degli anticomplottisti sono complottisti di specie diversa. Per distinguerli dai veri, c'è un metodo infallibile: il ricorso o meno al cui prodest(a chi giova?). Non basta dire che un complotto è una bufala se poi si aggiunge che la bufala è funzionale al potere (se non da esso programmata). È quanto fa Umberto Eco quando cita Noam Chomsky per il quale l'11 settembre sarebbe stato utile a Bush per giustificare l'intervento in Iraq o quando elogia Daniel Jolley e Karen Douglas per i quali «l'esposizione a informazioni che favoriscono la teoria del complotto riduce l'intenzione di impegnarsi in politica rispetto a chi è esposto a informazioni che confutano le teorie della cospirazione». Al contrario, Pietro Verri, citato da Manzoni affermava che alla collera «piace più attribuire i mali a una perversità umana contro cui possa fare le sue vendette che di riconoscerli da una causa con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi». In un caso, il complottismo è disperazione rassegnata, nell'altro, speranza di contrastare il male. Ci troviamo dinanzi a un «guazzabuglio tutto pien d'imbrogli».
Le paure ingenue dell'uomo della strada si traducono in complottismo ma le fantasie più elaborate degli intellettuali progressisti, che attribuiscono al sistema' di sessantottesca memoria ogni nefandezza - dalle guerre agli etnocidi- diventano un fatto culturale.
Dino Cofrancesco interverrà su questo tema domani mattina ad Andora (Palazzo Tagliaferro) nell'ambito del convegno «L'eclisse della ragione: la caccia alle streghe».
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