L'opera più politica senza i nostri politici intimoriti dai fischi

Presenti solo Franceschini e Padoan, la Boschi entra di nascosto. E i vip: «Non ci mancano»

L'opera più politica senza i nostri politici intimoriti dai fischi

Mai opera, sulla scena così piena di personaggi politici, ne ha visti così pochi nei palchi. L'Andrea Chénier, che fa i conti con la Rivoluzione francese che divora se stessa, riflettendo sulle derive sanguinarie dei migliori ideali e sugli abusi del Potere, è stato miseramente tradito, ieri sera, alla Scala, dai nostri politici. L'assenza delle istituzioni, mentre il mondo guarda un'eccellenza italiana, è stata clamorosa e vergognosa. Non c'era il capo dello Stato Mattarella, non c'era il premier Gentiloni, forfeit del presidente del Senato. E mentre Maria Elena Boschi entra da un ingresso secondario per evitare contestazioni, il più alto in grado, alla fine, assieme al ministro dell'Economia Padoan, è il ministro della Cultura Franceschini, uomo di potere e di Lettere, come - pura coincidenza - Andrea Chénier: «Un che fa versi e che promette molto». Qualche vip commenta: «Non ci sono politici? Meglio così». Si suona comunque l'Inno di Mameli. La Storia, in teatro, intona La Marseillaise.

La storia, in scena, è una parabola discendente nel sangue, in quattro quadri, fra il 1789, gli ideali portati in alto dalla Rivoluzione, e il Terrore di Robespierre, 1794, le teste che rotolano in basso. Andrea Chénier il tenore Yusif Eyvazov, che ieri ha spazzato via ogni dubbio maligno sul fatto di essere stato scelto dalla potentissima moglie-collega Netrebko - è il poeta fedele più all'amore che alla politica, e che prima di altri, pagando con la vita, comprende quali orrori può generare la furia populista rivoluzionaria e giacobina. Gérard - il baritono Luca Salsi - è il servo che getta la livrea (in scena lo fa in modo molto melodrammatico) e indossa il ruolo di capopopolo. E la bella Maddalena - il soprano Anna Netrebko, bella, diva, brava e glamour - è la contessina caduta in disgrazia, travolta dall'insurrezione, della quale sono entrambi innamorati. Gérard calpesterà ideali e dignità per possederla: tradisce la Verità - mentre la Rivoluzione tradisce se stessa - per separare Maddalena dall'amato Andrea Chénier. E per farlo lo accusa di essere nemico della Patria: il metodo migliore allora come oggi, per fare fuori un rivale in amore, ma anche un oppositore politico. Come sanno bene, dentro i partiti, segreterie e movimenti.

A Gérard, alla fine, pentitosi troppo tardi, resterà il rimorso. Ad Andrea Chénier e alla sua amata, uno accanto all'altra, resta il destino del patibolo. Saranno ghigliottinati insieme. Il tragico compimento della Storia. E di un grande amore.

Fuori, le contestazioni dei «rivoluzionari» centri sociali si arrotolano inutilmente come ogni anno su se stesse. Dentro il teatro gli eventi ruotano in circolo, generati - scena dopo scena - dalla grande macchina girevole montata sul palco. Il gran carillon della Storia, in quattro quadri: l'ultimo ballo tragico dell'aristocrazia, gli entusiasmi della Rivoluzione, gli orrori dei Tribunali di salute pubblica, l'ombra lunghissima delle ghigliottine.

Ritmo serratissimo, velocità spericolate fra il teatro de La morte di Danton e il cinema di tanti film di Mario Martone, e c'è pure La mamma morta, una romanza entrata nell'immaginario collettivo che fa singhiozzare Tom Hanks in Philadelphia - l'Andrea Chénier, applaudito per undici minuti, con solo qualche buuu finale, è melodramma d'azione, affresco post-romantico, pantomima tragica. Bandiere, coccarde e berretti frigi. Nessun spostamento storico, l'ambientazione - scene di Margherita Palli molto belle e regia di Martone molto classica - è quella: la Gran Rivoluzione. Ma come sempre attraverso le antiche trame s'intravede l'oggi. Ogni rilettura storica riflette la contemporaneità. Ecco la politica con le sue deviazioni, i valori traditi di ogni rivoluzione - nel terzo quadro par di intravedere i Cinquestelle dietro le tricoteuses che vogliono tutti ghigliottinati - e l'ossessione giustizialista: il presidente del Tribunale rivoluzionario che, come un qualunque pm di oggi, accusa e condanna in un niente: «Mie faccio queste accuse e le rinnovo!». Ancora. Ecco l'eterna causa dell'Eguaglianza, le tensioni sociali (quanti disoccupati, precari, «nuovi poveri» sognano di irrompere alla Scala coi forconi, come fa qui, nelle stanze dei ricchi, a inizio opera, il gruppo di mendicanti guidato da Gérard?). Ci sono, persino, gli scandali sessuali ai tempi della Rivoluzione francese. Gérard insidia la sua ex padroncina, col più turpe dei ricatti, così tanto di moda anche oggi, ai tempi dei re di Hollywood. Se vuoi salvare il tuo amato, devi concederti, a me, qui, ora: «Tuo malgrado, tu mia sarai». Il corpo eternamente calpestato delle donne.

C'è, infine, soprattutto, nella vita come nell'opera, il disinteressato idealismo che perde contro l'egoistica passione. Le alte utopie che cedono ai bassi istinti.

È la politica. Ed è, anche, l'amore.

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