Una scommessa. Anzi: una rivelazione. Perché se il Rigoletto che giovedì, alla presenza del presidente Mattarella e dei presidenti di Camera e Senato ha inaugurato la stagione estiva dell'Opera di Roma, era all'inizio un'ardua sfida, alla fine si è rivelato una sorprendente scoperta. Quella di un nuovo tipo di spettacolo, del tutto inedito e coinvolgente. La premessa è nota: obbligato dalle misure anti-covid a tenere innaturalmente lontani fra loro i cantanti, e perdippiù in un'opera fisica come questa, fatta di amore, sesso e violenza, il regista Damiano Michieletto - uno che ha la preziosa capacità di sconvolgere le cose solo per renderle più incisive e affascinanti - ha innanzitutto trasferito l'azione in un contesto contemporaneo: un mondo di piccoli malavitosi anni '80 che trafficano tra macchinoni volgari e fumi di roghi urbani, con Rigoletto che diventa il patetico manovratore di una giostra (in scena ce n'è una coi seggiolini volanti) e il Duca di Mantova un boss di quartiere, tipo sudamericano.
Michieletto ha davvero il dono, raro fra i registi che interpretano le opere in chiave moderna, di farlo sempre al servizio della musica, e mai di sé stesso. Così queste immagini pop aderivano perfettamente allo spartito di Verdi, con effetti anzi come nella scena del rapimento di Gilda, che abbina le lievi note danzanti alle agghiaccianti maschere in stile Arancia meccanica dei rapitori, o nello struggente finale - d'inattesa efficacia.
Quindi il colpo di genio: le distanze, per rispettare le quali al Circo Massimo si è dovuto costruire un apposito palco di 1500 metri quadrati, sono magicamente annullate da tre cameraman che sul palco stesso riprendono l'azione dall'interno, e la rimandano su un enorme schermo dove, con un montaggio cinematografico attentissimo a tempi e climi musicali, le corrusche inquadrature live si mescolano a strazianti flashback (i filmini superotto della moglie morta di Rigoletto), al non-detto dei personaggi (i sogni di purezza di Gilda, che in abito da sposa volteggia sulla giostra), agli snodi narrativi fuori scena (l'incontro in discoteca, fra palloncini colorati, di Gilda col Duca; la notte d'amore in roulotte fra il Duca e la prostituta Maddalena). Miracolo: di colpo le illogiche distanze sono dimenticate; il pubblico, ipnotizzato da questo flusso continuo d'immagini che segue, anticipa, recupera o svela tutta l'azione, è catapultato fin dentro l'opera, e scopre primi piani emotivi e dettagli scenici altrimenti inafferrabili; gode di punti di vista continuamente imprevisti. Insomma: è letteralmente avvinto da uno spettacolo che è, al tempo stesso, opera teatrale ma anche film-opera. Alla fine consapevole di partecipare ad un rito collettivo, unico per la situazione contingente certo - ma anche per i sorprendenti risultati.
La direzione musicale di Daniele Gatti imprime tempi serrati e raffinatezze intimiste; che però all'aperto, e soprattutto nel confronto con immagini sceniche tanto potenti, risultano spenti dal volume troppo basso dell'inevitabile amplificazione. Basterebbe alzarlo, e l'autorevolezza dell'ottima orchestra risulterebbe moltiplicata. Totalmente a suo agio scenico nella complessa ideazione registica il cast: il Rigoletto solidamente affidabile di Roberto Frontali (che ha sostituito all'ultimo l'indisposto Luca Salsi) disegna il dramma di un padre di oggi, incapace di proteggere l'ingenuità di una figlia tutto sommato sprovveduta, come ce n'è in ogni tempo. Lo spavaldo Duca di Iván Ayón Rivas è un guappo squillante e simpatico; il roccioso Sparafucile di Riccardo Zanellato un piacere per le orecchie.
Ma è soprattutto la candida e area Gilda di una Rosa Feola in stato di grazia, a conquistare i 1400 spettatori (distanziati).
I quali hanno coinvolto nel successo finale anche i figuranti che sostituivano il coro, disposto a cantare nello spazio dell'orchestra, le ottime luci di Paolo Fantin, gli azzeccati costumi di Carla Teti e meritoriamente - i tre cameraman, perfettamente coordinati nel difficile montaggio registico live.
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