In fondo avrebbe potuto far finta di niente. C'è il lockdown? Bene, spero di non prenderlo e me la godo un po' dopo sessant'anni di carriera. Invece figurarsi. Le canzoni di McCartney III escono il 18 dicembre raccolte in uno dei pochi dischi in questo Natale di carestia che valga la pena di ascoltare dall'inizio alla fine. I (milioni di) fan si sentiranno a casa perché la voce, beh, quella la riconosci subito. Ma anche chi non lo conosce (orrore!) potrà fare immediatamente un paragone tra questi brani e la maggior parte della musica che si ascolta oggi. Questi sono suonati, bene o male, si sentono le sbavature sulle tastiere e le dita che scivolano sulle corde di una chitarra. Gli altri sono repliche digitali, accostamenti di basi, intuizioni elettroniche che durano tre minuti e poi finita lì. Per carità, nella musica non c'è un meglio e un peggio, non è una gara. Ma la differenza si nota, anzi si sente.
Paul McCartney ha registrato undici canzoni praticamente tutte da solo, cantando e suonando ogni strumento, persino le Brennell Tape Loop Guitars in Find my way o l'harmonium indiano nella selvatica e coinvolgente Long tailed winter bird. E vabbé che ci vuole, diranno i soliti scettici, è il suo mestiere. In realtà è difficile trovare in giro artisti così giganteschi (ha cambiato la storia della musica, ha venduto un miliardo di dischi e ha un patrimonio 1,2 miliardi di dollari) che a 78 anni abbiano ancora voglia di occupare tempo pubblicando un disco non richiesto dai fan, non indispensabile a pagare bollette o alimenti né decisivo per garantirsi un tour. Semplicemente Paul McCartney non resiste all'idea di registrare e pubblicare quella cosa una volta chiamata «album» e ormai sempre più superflua, ossia una serie di canzoni che abbiano un senso una dopo l'altra e siano la fotografia - proprio come un libro oppure un film - di che cosa prova, pensa, ascolta l'autore in quella determinata fase della vita.
Poi stavolta vengono in mente l'album McCartney del 1970 e McCartney II del 1980. Quarant'anni dopo il filo conduttore di questo III che conclude la trilogia è l'inverno, non solo per l'asciuttezza gelida di certi arrangiamenti o per il titolo del primo pezzo (Long tailed winter birds) e dell'ultimo (Winter bird - when winter comes) ma soprattutto per l'atmosfera ovattata che rende l'idea di uno studio di registrazione isolato dal resto del mondo, dove l'artista parli e suoni a se stesso senza che nessuno l'ascolti.
«Vivevo in isolamento nella mia fattoria con la mia famiglia (nel Sussex - ndr) e andavo ogni giorno nel mio studio. Avevo delle cose su cui avevo lavorato nel corso degli anni, ma a volte il tempo si esauriva e rimanevano a metà, così ho iniziato a pensare a quello che avevo», spiega lui parlando del disco. «Ogni giorno iniziavo a registrare con lo strumento su cui avevo scritto la canzone. Ho fatto musica per me stesso, cose che mi piaceva fare. Non avevo idea che il lavoro sarebbe diventato un album». Forse è vero o forse no.
Di certo l'album è grezzo, la voce talvolta è ispida, qualche mix sembra alla bell'e meglio e lo spirito è generalmente quello di una garage band e non di uno che il 4 settembre 1962 agli Abbey Road Studios con John Lennon, George Harrison e Ringo Starr iniziò a registrare Love me do portando la musica leggera in un'altra dimensione. Erano Pretty boys, bei ragazzi, proprio come il titolo del terzo brano. Bei ragazzi «che nel tuo mondo faranno cose eccezionali» canta Macca forse ricordando l'epoca nella quale accadde tutto senza che nessuno se lo immaginasse.
Ora che ha bisogno del «gobbo» quando canta dal vivo (non è rimbambito ma «talvolta entro in modalità autopilota e così comincio a pensare cosa mangerò a cena? Forse non ci sarà la zuppa, ma magari prenderò il piatto principale», come ha appena rivelato nel podcast Smartless) Paul McCartney è forse tornato al nocciolo della propria ispirazione, scrive testi pungenti sul Lavatory Lil (letteralmente Gabinetto Lil) ma vuole comunque «venirti a prendere» come ripete in Deep down e come a 78 anni vuol fare chiunque abbia la musica nel sangue e non solo nel conto corrente. Ce ne fossero, altro che.
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