Sono uno dei pochi gruppi «destri» di grandissimo successo sul palcoscenico globale. I Dead Can Dance ritornano con Anastasis, a una vita di distanza dal disco precedente, il pluripremiato Spirit Chaser (1996). Non sappiamo se abbiano fiutato nell'aria la voglia di atmosfere «meditative» (testimoniata da gruppi come Bon Iver e simili), o se siamo di fronte all'ennesima forma di revival, questa volta degli anni '90. Se i titoli di giornale inventano calembour mischiando nome del gruppo, anni di assenza, e il titolo del disco (Anastasis in greco significa resurrezione), il gruppo australiano programma un tour mondiale di un anno, che toccherà l'Italia il 19 ottobre. Purtroppo i biglietti per il concerto milanese sono già sold out.
Ed è strana la persistenza di un vasto zoccolo duro di fan, per un gruppo che ha così poco a che spartire con i canoni classici del pop rock, fino a costeggiare (e a tuffarsi mani e piedi) in un immaginario tradizionale, rituale, «mitologico», tutto di destra. Non risulta che abbiano mai fatto riferimento alla loro collocazione politica, ma nei fatti Brendan Perry, 63enne, polistrumentista, cantante e mente dell'ensemble, ha sempre predicato e realizzato una sorta di «ritorno alle origini» musical-spirituale: con la ricerca di sonorità ancestrali ed etniche (in questo disco c'è il bouzouki elettrificato, in tema con le atmosfere greche) e il riferimento a tradizioni sapienziali. L'altra componente, Lisa Gerrard, ha stabilito il suo canone vocale con l'uso della glossolalìa: la lingua inventata, o meglio ispirata, della tradizione cristiana, in particolare antica.
Tutto poco modaiolo in apparenza. Anche perché in Italia le riprese «sapienziali» hanno corso solo se stemperate con gran dosaggi di canzonetta postmoderna (vedi «cu cu ru cu cu Paoloma» di Franco Battiato), e nel resto del mondo pop i riferimenti mistici si trasformano subito in hippismo e flower power. E invece, in un'intervista in cui gli si chiedeva se il verso «girasoli tra i capelli», nella canzone Children of the Sun, fosse un aggancio alla cultura hippie, Perry ha risposto: «No, non direi. Il pezzo parla della nascita dell'uomo, dell'evoluzione della specie intesa come un viaggio».
Altrettanto tipica, e controcorrente, la valutazione di Perry sullo stato della musica attuale. Ha dichiarato al sito Rockol: «L'Occidente non sta creando nulla di particolarmente originale. I migranti portano con sé le loro culture ma da questa collisione, al momento, sta nascendo poco o nulla di nuovo. Ricordiamoci che le tradizioni più genuine, le canzoni e le danze tramandate nei secoli sono storicamente nate nelle campagne e non nelle città, all'interno di comunità tribali. Oggi le cose sono molto diverse, non è più questa la realtà».
Parole che qualsiasi teorico della nuova destra no global, da Alain De Benoist in poi, sottoscriverebbe tranquillamente. Perfino venate da una certa disillusione rispetto all'ideologia multiculturale degli ultimi anni, che ha riempito il mondo musicale di «produzioni originali» ai festival etnici e cd in collaborazione tra musicisti di tutto il mondo, ma ha fornito pochi veri classici alla discografia.
Insomma la soluzione, oltre all'inevitabile contaminazione, di cui i Dead Can Dance sono appassionati utilizzatori, è il ritorno alle origini. Anastasis è appunto un consapevole «cammino verso l'origine», quindi verso la radice greca, e orientale, della musica. Con le solite atmosfere elettroniche che sono un po' il sigillo di bottega del gruppo: anche dal vivo i due si presentano accompagnati da ben quattro tastieristi. Abitando Perry in Irlanda e la Gerrard in Australia, tutta la fase di scrittura è avvenuta via e mail, solo alla fine i due si sono incontrati per registrare le tracce definitive.
I Dead Can Dance si formarono nel 1981 a Melbourne: Perry proveniva dal punk e la Gerrard dal canto classico, ma con il trasferimento in Inghilterra e la firma per la 4AD di Ivo Watts-Russell, quella dei Cocteau Twins, sono entrati nell'onda della musica alternativa. I due, partiti dalle atmosfere dark wave, hanno iniziato uno studio meticoloso delle tradizioni folk europee: un graduale, ma sempre più marcato distacco dalle atmosfere rock. Per esempio per il disco Into the Labyrint del 1993 i due si sono preparati in un modo curioso: «È un viaggio attraverso un anno di scrittura, basato sulla vita in campagna con gente rurale - ha raccontato Perry -.
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