Se ci fate caso, esistono ambiti nei quali si è verificato, negli ultimi lustri, un progresso stupefacente. Non mi riferisco all'informatica, all'intelligenza artificiale o ad altre meraviglie. Non mi chiedo se mai riusciremo a fabbricare un robot capace di dire (e di pensare) «io». Parlo di cose più semplici, come ad esempio le scarpe, o il pane, o le automobili. Mondi che, dopo decenni di stasi, si sono rimessi in rapido movimento partorendo tante novità.
Prendiamo le calzature. Molto tempo fa, ma non moltissimo, esistevano le scarpe da città (quelle da portare indossando i calzini), i sandali e le scarpe da ginnastica. Le prime si dividevano in diverse sottocategorie (stringate, mocassini, polacchini ecc.). Allo stesso modo, le automobili potevano essere utilitarie, berlina o sportive. Quanto alle panetterie, ci si trovavano il pane comune, quello all'olio, un altro tipo regionale (toscano, mantovano ecc.) e, successivamente, il cosiddetto pane integrale.
I suv comparvero pressappoco nello stesso periodo in cui comparvero le scarpe da barca. Ciò che suv e scarpe da barca avevano in comune era (ed è, credo) di non essere usati per lo scopo per il quale si diceva fossero stati concepiti, nel senso che le scarpe da barca non si usavano in barca, e questa fu la causa del loro successo: lo stesso vale per i suv.
Ma fu solo l'inizio, l'abbrivio narrativo che necessitava.
Da quel momento scarpe e automobili conobbero uno straordinario proliferare di varianti. Le jeep uscirono dall'uso militare per diventare regali di laurea o di diploma, nacque la citycar (che poco ha in comune con l'utilitaria), e poi i crossover, e così via; l'acquisto di un'automobile dipese sempre di più dall'uso specifico al quale era destinata, e ad essere abbastanza ricchi si poteva costruire un parco-macchine adeguato a ogni esigenza: per la città, per il weekend, per le gite a due, per coltivare la passione della velocità, per rappresentanza eccetera.
Allo stesso modo le scarpe si arricchirono di modelli da trekking, da arrampicata, da basket, da volley, da jogging, da diporto, per tutti i giorni, naturalmente per le diverse tipologie di cerimonie, senza dimenticare il teatro. Le suole sono il campo nel quale la creatività umana si è maggiormente espressa negli ultimi quindici anni, per con parlare dei tessuti, delle microfibre sempre più leggere e resistenti.
Veniamo al pane. La parola «panetteria» di fatto è scomparsa perché una semplice rivendita di pane desta sospetto. Il proliferare della varietà e delle possibilità di scelta chiede garanzie, firme, protocolli, tutele. Niente più panetterie ma panifici, vecchie fornerie, fornai, forni. Sono graditi i nomi propri: il pane di Francesco, il pane di Rossi. Vi potrete trovare pane al kamut, al farro, al sesamo, di grano duro e tenero, al mais, ai cinque e ai dieci cereali, il pane tartaruga, quello arabo (che non è arabo), i morbidoni, il pane del senatore Cappelli, il pane Tumminia, quello senza lievito e, soprattutto: quello con il Lievito Madre. Di tutte le garanzie infatti la madre è la più importante perché ci racconta un'origine non retrodatabile.
A nessuno può sfuggire lo stretto legame che questi cambiamenti stabiliscono tra il denaro, il corpo e il desiderio. Più varietà di pane esistono, e più costano perché per ciascuna varietà si produrrà meno pane (quando tutti potevano acquistare solo «pane comune», i costi erano molto inferiori). In compenso cresce la quota di desiderio: entrare in una panetteria è più bello di un tempo, così come è più bello acquistare un'automobile quando lo scopo non è il mero spostamento da un punto A a un punto B ma implica una certa affermazione del proprio io.
Ma il cambiamento più significativo riguarda il corpo. I nostri piedi sono avvolti da calzature speciali, pane speciale entra nel nostro stomaco, automobili speciali ci accompagnano nei nostri spostamenti. L'effetto di tutto ciò è che piedi, stomaci e spostamenti diventano a loro volta speciali, tutti compresi dentro un racconto, tutti produttori di mitologia: il pane più genuino, le scarpe che ci permettono avventure mai vissute, le automobili che testimoniano la nostra originalità. Ogni articolo ha il suo racconto, e non c'è racconto che non prometta di traghettarci fuori dal luogo comune.
Come si è detto spesso, e a ragione, la grande novità rispetto all'epoca del consumismo ingenuo è che il vero prodotto non è più la scarpa o il detersivo o l'olio d'oliva, ma siamo noi stessi. I vecchi slogan (il detersivo che «lava più bianco del bianco», l'olio d'oliva che «nutre ma non ingrassa») non ci incantano. Noi non compriamo più cose, compriamo pezzi della nostra autobiografia, e per questo servono garanzie.
È un passaggio fondamentale, che non giudico.
Ma è un fatto che, senza voler scomodare l'eutanasia, la legge Zan, la maternità surrogata o altro, la nostra vita è passata, nel tempo, dalla dimensione dell'essere a quella dell'avere. Noi non siamo genitori: abbiamo figli. Noi non siamo malati: abbiamo malattie. E così via.E l'essere sprofonda in cavità sempre più difficili da raggiungere, fino a farci credere che non esiste.
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