Muse, sei megashow tra droni e rock (molto) hard

Sabato al Forum concerto perfetto. Il leader Bellamy: "La nostra musica ha tanti riflessi"

Muse, sei megashow tra droni e rock (molto) hard

Sei, dicesi sei, Forum di Assago uno dopo l'altro. Da sabato scorso a sabato prossimo. Un record. E se il cantante/chitarrista/leader Matthew Bellamy è «sorpreso» da questo successo, il pubblico sabato sera ha applaudito i suoi Muse come superstar, a dimostrazione che il rock ha ancora una grande capacità attrattiva su tutti, dal teenager in fregola di selfie al cinquantenne che nel volume alto ritrova il suono della propria adolescenza. «Il nostro show fa pensare qualcuno alla politica, qualcun altro al predominio della tecnologia, ci sono molte chiavi di lettura», dice Matt Bellamy poco prima di salire sul palco.

Qualche minuto dopo, otto droni radiocomandati calano sulla platea del Forum per celebrare il 61esimo concerto di un mastodontico tour mondiale di 80 date. Concerto potentissimo, con sonorità al limite del metal specialmente per l'accordatura della chitarra di Bellamy (molto vicina a quella di Tony Iommi dei Black Sabbath) e per il suono della batteria di Dominic Howard, senza dubbio ispirata da quella di Lars Ulrich dei Metallica ai tempi del Black Album. A far la differenza è il basso di Chris Wolstenholme, padre di sei figli e proprietario di un basso che spazia da quello di Geezer Butler (sempre Black Sabbath) fino a quello di Flea dei Red Hot Chili Peppers: «Il rock ci sarà sempre, altro che morto», dice precisando che «il pop vende più dischi ma dal vivo il vero evento è sempre rock».

Però il marchio di fabbrica di quello che è probabilmente lo show più visionario, cupo e potente degli ultimi anni sono la scenografia, perché il palco piazzato in mezzo al Forum ruota costantemente di 360 gradi, e l'istinto melodico che conquista un pubblico trasversale e che riesce a essere mainstream senza fare nessun compromesso con il mainstream: sono i Muse a dettare le regole, non i Muse a seguirle. Perciò, per oltre venti brani, loro raccontano in tre (con un tastierista/chitarrista nascosto nell'incavo di fianco alla batteria) la saga dell'uomo prigioniero, prima smarrito e poi vittorioso, di un sistema che controlla il pensiero servendosi, sfruttando, abusando della tecnologia. Ci sono i droni che, troppo poco utilizzati, spiovono sulle teste del pubblico. E c'è una navicella spia che, all'improvviso, gira guardinga intorno al palco. «Abbiamo lo stesso production manager dei Pink Floyd», spiega Bellamy ammettendo che «non sono molto influenzato da loro, ma ogni inglese è condizionato dalla teatralità del loro rock».

E in effetti questo trio raccoglie l'eredità di un rock molto più potente, meno virtuoso di quello dei Rush ma più digeribile di quello metal. Volendo, i Muse sono gli ultimi dei mohicani. Potendo, resteranno al top per tanto e tanto tempo ancora.

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