Ortruda, la strega che ha fatto fuori la sua rivale (e anche la riserva)

Passare sotto la Scala, al Lohengrin porta male. Più che un Sacro Graal, per l'opera di Richard Wagner il teatro milanese è una forca caudina, con il conseguente oltraggioso pedaggio da pagare. Ma se nel marzo 1873 fu soprattutto colpa di uno spirito antitedesco che aleggiava su Milano e che si tagliava con il coltello come la nebbia d'autunno, questa volta la responsabilità è... di una strega. Pagana, come i miti nordici tanto cari al vate di Bayreuth.
La «colpevole» è Ortruda, la quale, discendente di una stirpe di principi per l'appunto pagani, ha lanciato la sua tremenda maledizione contro la sua involontaria e inconsapevole deuteragonista, la soave e innocente Elsa, il cui cuore palpita a tutta birra per il misterioso Lohengrin. Non si spiegano altrimenti le indisposizioni che hanno colpito alla vigilia della «prima» in rapidissima sequenza Anja Harteros, la titolare, e Ann Petersen, la sua riserva. Fatte fuori due «Elsa» in un colpo solo: un vero record. Al loro posto, così, si è insediata la berlinese Annette Dasch, dal 2010 a proprio agio nel ruolo, visto che lo interpreta abitualmente al Festival wagneriano di Bayreuth. Una wagneriana di provata fede, insomma. Che sia lei la vera strega? Dall'aspetto non si direbbe, Valchiria magari sì, ma strega no. E allora sorge il sospetto che sia stato proprio il genio, diabolico e teutonico, di Wagner ad azionare gli influssi negativi scagliati da Ortruda.
Chissà, forse il maestro voleva vendicarsi dell'affronto subito nel 1873, quando, non presentandosi a dirigere personalmente l'orchestra alla Scala, gettò benzina sul fuoco delle polemiche e dei violenti tafferugli (nulla di nuovo anche sotto il sole - o la neve - della musica...). «Volete Verdi? E allora prendetevelo», avrà bofonchiato, oggi come allora, quando a sostituirlo fu chiamato un direttore di stretta osservanza verdiana, Franco Faccio. Il comune sentire disordinatamente risorgimentale, quella volta, ebbe la meglio, almeno dal punto di vista mediatico, sul rigore germanico. Silenzio di tomba durante il primo atto, poi, all'apparire del cigno con a bordo Lohengrin, il pubblico si scatenò in frizzi, lazzi e sputi.


Ieri la fresca unità d'Italia, oggi l'antico risentimento di una donna andata in sposa come seconda scelta, dopo il rifiuto dell'acqua cheta Elsa, al perdente Federico di Telramondo. Come dire, prima la congiuntura internazionale e poi l'immortale orgoglio femminile. No, davvero non c'è pace per il Lohengrin, a Milano.

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