Parliamo di sovranismo senza bavagli ideologici

L'associazione Isaiah Berlin organizza un convegno per confrontarsi sui temi caldi della politica di oggi

Parliamo di sovranismo senza bavagli ideologici

Nella cultura italiana sono presenti due stili di pensiero. Il primo, decisamente minoritario, fa venire in mente la domanda che il grande storico Marc Bloch rivolgeva ai suoi colleghi studiosi della Rivoluzione francese: «Robespierristi, anti-robespierristi, vi supplichiamo umilmente: diteci soltanto chi fosse Robespierre».

Il compito di chi ha scelto «il lavoro intellettuale come professione» è quello di far chiarezza, di raccontare il passato e di analizzare il presente senza pregiudizi, facendo parlare i protagonisti degli eventi ma commentando il loro agire sine ira ac studio, come dicevano gli antichi.

Il secondo, largamente maggioritario, fa pensare invece al giovane Antonio Gramsci che in uno scritto del 1917, citando Federico Hebbel, ammoniva che vivere vuol dire essere partigiani. «Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città - affermava nella lingua dei profeti - Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti. È la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica». E concludeva: «Sono partigiano della città futura che la mia parte sta costruendo».

Se si guarda ai Festival di arte e di cultura che ogni estate si svolgono nei luoghi più ameni della penisola non ci si può sottrarre alla sensazione che si tratta di incontri nei quali non è la ricerca della verità al centro delle relazioni e delle tavole rotonde ma la riconferma di un pensiero unico che viene articolato in modi e con sensibilità differenti dai diversi relatori. D'altra parte è il prezzo da pagare per garantirsi un'ampia visibilità massmediatica (e i relativi sostegni finanziari).

L'Associazione Culturale Isaiah Berlin, da me fondata con un gruppo ristretto di amici e di colleghi, segue, invece, la linea perdente. Da tre anni organizza a Santa Margherita Ligure un Festival della politica, nel quale si dibattono i grandi problemi del nostro tempo mettendo a confronto studiosi di diverse aree politiche, che incrociano le lame nel rispetto reciproco ma senza nascondersi quanto li divide ideologicamente. In fondo, è la vecchia regola delle due campane che nel nostro paese pare sempre un pò spaesata.

Quest'anno il tema del Festival della Politica è quanto mai attuale, Sovranismo e mondialismo, e a discuterne sono chiamati giornalisti, filosofi, scienziati politici, giuristi, storici, economisti di diverso (e talora) opposto orientamento culturale. A nostro avviso, il vero impegno civile non consiste nel parteggiare, scrivendo e portando sulle scene di un festival l'ennesimo pamphlet antipopulista, antisovranista, antinazionalista, ma nel far conoscere le posizioni che non si condividono, nell'ascoltare le ragioni degli avversari. Non è la «città futura» in cima ai nostri pensieri - tra l'altro è stata già costruita a Mosca, a Pechino, a Caracas, in Cambogia, con esiti forse non esaltanti - ma la pacata disamina del gioco fatto dalle squadre in competizione. Poi ognuno sceglierà da che parte stare, ma come privato cittadino non come studioso, che vuole essere informato dei fatti.

Il vero dramma del nostro tempo, è la nostra convinzione, sta nella scissione, sempre più profonda, tra l'«universalismo» - nelle sue tre fattispecie: quella etica iscritta nel messaggio cristiano e nella filosofia dei lumi, quella giuridica dei diritti umani che non conoscono frontiere e quella economica del mondo come indivisa unità di scambio - e la «politica», intesa come ragion di Stato, difesa delle frontiere e di quanto vi sta dentro: tradizioni, istituzioni, culture, lingue, costumi. Il primo, per usare le categorie di Toennies, sta tutto nella dimensione societaria che conosce individui e non tribù; la seconda vive nella dimensione comunitaria che guarda non agli individui eguali sotto ogni latitudine e longitudine - ma alle persone legate a famiglie, a territori, a memorie comuni.

Nel bell'articolo di Giancarlo Bosetti (assegnatario del «Premio Isaiah Berlin per la saggistica politica» 2020), Isaiah Berlin e la sua Babele : la diversità come premio celeste (La Repubblica 19 aprile 2018), si legge che il filosofo del pluralismo: «Non ha mai cambiato idea sulla importanza decisiva per ogni individuo della appartenenza nazionale. Un fattore che ha scatenato infiniti massacri, e che deve essere ben compreso, perché qualunque cosa non compresa non può essere controllata e finisce per dominare invece di essere dominata. Chi si illude di cancellare la nazione fa una brutta fine. Gli piaceva l'idea di un liberalismo nazionale. Era per l'Unione europea, ma metteva in guardia sulla difesa delle diverse identità e lingue».

Spesso i teorici dell'universalismo e del diritto cosmopolitico sembrano ignorare questa lezione ma i loro avversari rischiano altrettanto spesso di misconoscere i valori forti trasmessi dal cristianesimo e dall'illuminismo. Gli uni cancellano le buone ragioni della politica, gli altri quelle di un'etica che diventa sempre più planetaria, sul piano dei diritti dell'uomo, dell'ambiente, delle specie viventi.

Si troverà un punto d'accordo come quello rappresentato un tempo dallo Stato nazionale, che oggi sembra tramontato nelle coscienze? Non tocca certo a un

Festival formulare ricette per la cucina dell'avvenire ma contribuire a fare chiarezza significa adottare l'etica della responsabilitàlontana anni luce dalla partigianeria che tanto infiammava il totalitario Antonio Gramsci.

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