Il patto "pacifista" di Monaco regalò a Hitler metà Europa

L'accordo disastroso firmato da Chamberlain prova che (a volte) la guerra è l'unica opzione

Il patto "pacifista" di Monaco regalò a Hitler metà Europa

Esattamente ottant'anni fa a Monaco, il 30 settembre 1938, Neville Chamberlain, primo ministro inglese, firmando l'accordo con Hitler, compì il gesto per cui Winston Churchill pronunciò la proverbiale frase «Hai avuto una scelta fra la guerra e il disonore. Hai scelto il disonore e hai avuto la guerra». L'accordo trasferì alla Germania i Sudeti, la regione della Cecoslovacchia abitata della minoranza tedesca. Fu un puro tradimento nei confronti di un alleato e un gesto di prepotenza verso uno Stato inerme che veniva, con l'accordo, messo alla mercé di Hitler.

L'Europa tutta si trovò in breve tempo invasa dalle armate tedesche. La transazione di Francia e Gran Bretagna con Hitler impose limitate «concessioni territoriali» per pacificare la Germania nazista, ma l'aggressore, immediatamente, proprio come prevedevano i suoi piani relativi al Lebensbraum - lo «spazio vitale» bramato dopo l'umiliazione del trattato di Versailles - violò l'accordo e inghiottì tutto lo Stato della Cecoslovacchia, nel marzo del '39. La Francia, che aveva un trattato di alleanza con la Cecoslovacchia, si era associata all'appeasement senza vergogna. Nessun rappresentante della Cecoslovacchia era presente alla conferenza che si concluse con lo smembramento del suo territorio e la deprivò del 70% degli impianti elettrici, delle fabbriche di ferro e acciaio, di tutti gli impianti chimici e della sua robusta difesa sotterranea. I tedeschi nel frattempo si erano già in parte riarmati infischiandosi delle dure imposizioni del trattato di Versailles. La teoria di conquista per stadi dell'Europa era spiattellata nel Mein Kampf, mentre già le leggi razziali entravano in vigore: la «Notte dei cristalli» aveva già mostrato il disegno di sterminio degli ebrei, e il patto Molotov-Ribbentrop sarebbe arrivato da lì a poco. Ma Chamberlain guardava dall'altra parte.

Gli inglesi e i francesi cedevano un piccolo stato indifeso che era anche un alleato, un tradimento da cui Hitler rafforzato trasse la determinazione a invadere la Polonia il primo settembre 1939. Il sacrificio della Cecoslovacchia nella mente di Chamberlain significava, come egli disse - facendo la «V» di Vittoria accolto a casa da folle festanti che credettero di essere state liberate dal lutto patito con la prima guerra mondiale - «Pace nel nostro tempo, pace con onore». Questa immagine, col suo ombrello nero a ciondoloni, è stata immortalata nella coscienza pubblica come il simbolo del tradimento e della stupidità.

Ma allora, egli fu ricevuto come un eroe. Nelle ore successive all'accordo ricevette 20mila messaggi di congratulazione. Di lui lo storico sir Lewis Namier disse: «Sventolava l'accordo con Hitler come un cacciatore di autografi felice: Ecco una carta con la sua firma... era furbo, ignorante, presuntuoso, capace di ingannare sé stesso quanto lo richiedeva il suo più profondo istinto e il suo scopo, e anche di ingannare quelli che lo desideravano». Monaco apri le porte a Hitler, alla sua sanguinosa marcia sull'Europa fino alla sconfitta, alla Shoah, agli eccidi di massa, all'inedita ferocia che il nazismo ha tributato alla storia universale.

Monaco è così rimasta nella storia del mondo come la capitale dell'appeasement, la scelta di fare la pace a tutti i costi, non importa a che prezzo, per paura, opportunismo, calcolo politico, per poi pagarne un prezzo iperbolico, sanguinante, di certo anche infamante per chi firmò. Crudelmente, la storia l'ha voluta di nuovo sul proscenio con l'eccidio degli atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972.

Alfred Leslie Rowse, uno storico britannico membro dell'All Souls College di Oxford, vicino all'élite e alla classe politica del suo Paese e agli avvocati intellettuali dell'appeasement, nel 1961 pubblicò il volume: Appeasement: uno studio sul declino politico 1933-1939. All'inizio del suo libro si faceva le stesse domande che oggi ognuno ancora fa a sé stesso: «... questa gente ha preferito affidarsi alla versione dei fatti e agli argomenti preparati dalla propaganda nazista, lasciarsi andare fino al punto che al momento non capì gli schemi di Ribbentrop, goffi, infantili, ovvi. Che cosa li possedeva? Come spiegare la loro cecità? Questo è il problema. Oggi non ci può essere dubbio sul fatto che avessero torto. Ma com'è possibile aver torto fino a questo punto contro ogni prova. PERCHÉ giunsero a tanto... Qui sta il problema. Ed è un problema formidabile...».

La risposta ancora oggi è viva, perché la risposta non è solo storica, è morale, è contemporanea, mette sotto il riflettore la proibizione basilare contenuta nella fondazione stessa della società moderna che dice «No alla guerra!» a qualunque costo e che manifesta questa volontà in mille occasioni: quando rifiuta di mettere a fuoco l'autentico scontro di religioni e civiltà da cui si genera il terrorismo islamico, quando mette tutta se stessa nell'accordo del P5 +1 con l'Iran mentre gli Ayatollah si ingegnano a conservare il loro disegno atomico e proseguono la guerra imperialista della shia; quando l'accordo di Oslo e lo sgombero di Gaza hanno luogo contro ogni prova del ripetuto rifiuto del mondo arabo verso la nazione ebraica, che si esprime nella guerra terrorista. Ogni giorno, a ogni latitudine si configura una nuova Monaco, cui la risposta di Chamberlain non è così estranea.

Il rifiuto della guerra ebbe un ruolo importante nelle scelte britanniche: la Prima guerra mondiale aveva avuto un enorme impatto come «la guerra che deve porre fine a tutte le guerre», il pubblico rifiutava l'uso della forza che gli aveva portato tanti lutti e miseria; ogni città e villaggio, come accade in tutta Europa, mostrava sui monumenti la lista enorme dei giovani caduti. Quella guerra, cominciata per l'assassinio di un arciduca a Sarajevo, risultava per gli inglesi punteggiata di errori e pessime ragioni. Ricordiamo anche che in Inghilterra era diffusa la convinzione che il trattato di Versailles avesse punito la Germania con misure eccessive e senza criterio; John Mainard Keynes aveva scritto un libro prevedendo che la richiesta di 6 milioni e mezzo di miliardi in riparazioni avrebbe causato caos in tutta Europa, e fu facile collegare queste previsioni alla Grande depressione in Inghilterra. Inoltre c'era una tale ostilità verso l'Unione Sovietica, Stalin, le sue purghe, che il comunismo veniva visto fra gli Inglesi come un pericolo molto maggiore del nazismo. Ultima, ma non minore delle ragioni che portarono all'appeasement, la dimensione imperiale britannica, allora in crisi, che spingeva a una politica estera che lasciasse le mani libere per combattere per l'Impero.

Dunque l'appeasement era inevitabile? No. Basta la figura di Churchill, i suoi scritti e la sua definita repulsione per l'atteggiamento di Chamberlain, a portarci a conclusioni diverse. Nel dibattito storiografico, in cui sono coinvolti grandi nomi, come Allan Bullock, Hugh Trevor-Roper, Andreas Hillgruber e poi tutti i cosiddetti storici revisionisti (ma non nel senso popolare della revisione della Shoah!) come A.J.P. Taylor e infine una corrente giustificazionista, tutti si chiedono in definitiva quanto pianificatore e manipolatore sia stato Hitler e quanto ingenuo sia stato il suo interlocutore, o se la Storia non abbia messo un suo tocco di estemporaneità nella malvagia trama dell'uno e nella evidente viltà dell'altro; quanto colpevole sia stato Chamberlain, quanto egoista e immorale, e dall'altra parte quanto invece (e ormai molto storici lo sostengono), seguendo un strada inevitabile, abbia tentato di tenere il suo Paese impoverito e stanco fuori dal gioco, e abbia spinto Hitler in maniera abile e sofisticata a uno scontro definitivo con l'Unione Sovietica.

Alla fine, la verità è che il coraggio morale di Winston Churchill, assieme all'unità del popolo inglese in guerra («Sulle spiagge, sulle landing grounds, nei campi, sui monti...»), l'aiuto della democrazia americana e il sacrificio delle rivolte antifasciste, ha fatto fuori la «pestilenza della tirannia nazista». Combattere era indispensabile.

Oggi sappiamo, senza dubbio, che l'appeasement fu una fatale resa, che arrendersi fu una pessima idea, e quali che siano i motivi che l'hanno indotta; oggi sappiamo che la prevenzione e la dissuasione devono essere attuati anche a caro prezzo. La guerra è meglio che arrendersi, sperando nella pace, a chi vuole la guerra a tutti i costi e la farà, senza chiederci il permesso per quanto pacifisti ci dimostriamo.

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