La mitica Tebe amministrata da Penteo, re e figlio diletto di Agave, nella lettura di Daniele Salvo, regista di questa nuova edizione delle Baccanti si ispira al tragico mito di un'umanità come la nostra sempre a un passo dalla dissoluzione. Dato che fin dall'inizio sopra il magma di una terra sconvolta dall'av- vicendarsi dei due poli positivo e negativo le svettanti architetture della città-stato ci sono negate. E gli esseri umani sono sovrastati dagli accesi colori di un cielo dove spadroneggia Dioniso. Che, impersonato dallo stesso regista, appare come il terribile artefice della distruzione della civiltà occidentale. Invano sfilano, sotto il manto coloratissimo di un'aurora boreale che non cessa di inquietarci, i personaggi che dovrebbero preservarci dall'ira degli dei che, al di là della bravura degli attori, sono comparse che fanno risuonare la legge umana (l'irato Cadmo di Bessegato, il perplesso Penteo di Facciotti e l'ispirato Tiresia di Lorimer). La prima parte è sapientemente organizzata attorno al risvolto negativo dell'ipotesi di fondo: ovvero trasferire fuori dalle mura di Tebe il delirio delle Baccanti. Con Agave (Manuela Kusterman) madre del re ridotta a forza primordiale usata da Dioniso che l'aizza come se fosse un'anticipazione di Satana.
Che precipita, nonostante l'accorato appello della Messaggera scolpita con incisivo furore da Melania Giglio, l'azione nell'orrore. Fino al superbo finale dove tra splendide luci sembra di penetrare nell'anticamera del dottor Charcot a un passo dall'avvento di Freud.LE BACCANTI - Teatro del Vascello, Roma.
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