Poi uno dice che il Festival è da vecchi. Tutt'altro. Se gli spettatori non sono mai stati così giovani (e basta leggere i dati per capirlo) il motivo è soltanto uno: la musica. E, al di là della stucchevole polemica sul presunto outing, la coppia Mahmood e Blanco è lo specchio di ciò che accade. Rappresenta il nuovo dizionario della musica popolare, come conferma pure la Sisal che li vede tra i favoriti.
Dopo l'ondata rap stile invasione delle cavallette che fanno piazza pulita, la melassa «urban» garantisce un codice espressivo più universale, buono per i piccoli club di tendenza ma anche per le grandi platee tv. Non a caso loro due sono stati i più votati della prima serata e saranno per tutta la settimana tra i più applauditi, convincendo stampa specializzata, giurie varie e telespettatori demoscopici o no. Una volta si diceva: la musica in tv funziona solo se ci sono Al Bano o Bobby Solo o comunque qualche ultrasettantenne di lungo corso e grande memoria. Ora è esattamente il contrario: se in tv ci sono Mahmood e Blanco oppure Sangiovanni oppure Achille Lauro, gli ascolti crescono, si dilatano, occupano social e on demand, streaming e piattaforme varie.
Vent'anni fa quasi tutti chiedevano la chiusura definitiva del Festival, quella patetica sagra del vecchiume in bianco e nero. Ricordate i titoloni sul Sanremo anacronistico da mandare in pensione? Oggi molti, specialmente nel settore musicale, sarebbero contenti se ce ne fosse uno al mese. Non c'è nulla di più giovane di uno spettacolo che determina tutti gli spettacoli del futuro prossimo venturo. Di uno show che spiega come saranno gli show da qui a venire.
Il Sanremo di quest'anno è musicalmente lo spartiacque definitivo tra futuro e passato remoto. Dopo un purgatorio lungo decenni, dalla direzione artistica di Baglioni in avanti il Festival di Sanremo è cambiato più velocemente di un'alleanza dei Cinque Stelle. È diventato attuale, ha mollato la nostalgia per sedersi al timone delle tendenze.
Ecco, quali sono?
Beh senza dubbio il rap si è un po' appassito, anzi ha traslocato e ora lo troviamo dappertutto, tranne che dov'era prima. Anche qui ce n'è poco e preso a piccole dosi nel brano di Highsnob e Hu oltre che in altri. Dopo lo tsunami Måneskin, funziona la riscoperta, consapevole oppure no fa lo stesso. Gianni Morandi è quasi geghegè come sessant'anni fa ma oggi sembra nuovo. Con Al di là del mare Massimo Ranieri (che l'altra sera è inciampato in una delle sue peggiori performance sanremesi di sempre) avrebbe potuto essere vincente anche nel 1970, eppure oggi non sembra vecchio. Invece i ritmi in levare e quelli sudamericani ormai meritano una sosta ai box perché basta grazie, ne abbiamo sentiti troppi in questi anni. Prendete Giusy Ferreri: ha una voce enorme e selvaggia che brani come Miele appiattiscono. Oppure Ana Mena così bella e vocalmente dotata da essere quasi imbattibile sulla carta, però a febbraio 2022 un pezzo estivo come Duecentomila ore è come bucare la gomma sul rettilineo finale: tutti ti passano davanti.
Perciò, a prescindere dal risultato finale, vincono le grandi canzoni. Quella di Elisa, ad esempio. La sua O forse sei tu è probabilmente da inserire nel manuale del concorrente perfetto di Sanremo: ha un bel testo, una ottima costruzione armonica ed è cantata come pochi altri potrebbero fare. Idem Fabrizio Moro con la (quasi identica come titolo) Sei tu: la ascolti e riconosci la cifra di questo artista poliedrico che sfugge la popolarità un tanto al chilo, ma ha un pubblico di una fedeltà estrema. Se non vince, Moro ci arriva vicino, vedrete. In poche parole la rifondazione di Sanremo è sul punto di equilibrio perfetto. Ditonellapiaga con Rettore sono una novità piacevole e dirompente per chi è nato e cresciuto con la musica liquida che sgorga dalle piattaforme streaming. Idem Achille Lauro, che è favoloso ma déjà-vu per chi ha più di quarant'anni ed è cresciuto con Iggy Pop o Marc Bolan o, manco a dirlo, Renato Zero.
Per capirci, dopo 72 anni Sanremo è più nuovo di prima e, in qualche modo, rappresenta l'eterna gioventù della musica.
Aldo Grasso ha scritto che «Sanremo è sempre un passo avanti: al Mattarella bis oppone l'Amadeus tris». Però i conduttori passano, la musica resta e adesso Sanremo ha ritrovato il passo giusto per dettare la linea. Come settant'anni fa.
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