«Si può vivere con molto meno. Sicuramente, ho imparato a vivere con meno oggetti, con meno cose».
È questa la lezione che il film vincitore dell'Oscar, Nomadland (dal 30 aprile al cinema e su Star, nuovo canale di Disney+) ha insegnato a Chloé Zhao, la donna che lo ha scritto, diretto e montato e che per questo ha vinto il premio alla regia. Zhao racconta un mondo lontano migliaia di chilometri da Pechino, dove è nata 39 anni fa, e non è la prima volta.
I Suoi film sono sempre caratterizzati da una forte connotazione americana. I titoli precedenti, Songs My Brothers Taught Me e The Rider, sono western moderni. D'altronde vive a Los Angeles da anni e si sente americana, giusto?
«Sì, esatto. È stato il mio spirito ribelle a farmi venire via dalla Cina e esplorare il mondo occidentale».
Lei ora passerà alla storia degli Oscar per essere la prima donna asiatica a vincere e la seconda regista donna, dopo Kathryn Bigelow nel 2010 per The Hurt Locker.
«Mi sento molto onorata a fare parte di questo ristretto gruppo. Ho conosciuto Kathryn Bigelow a una cena abbiamo parlato con passione del nostro mestiere».
La sentirà anche adesso?
«Mi piacerebbe, ha la sua email?».
È finalmente arrivato il momento per le donne a Hollywood?
«Sì, è piuttosto favoloso essere una donna nel 2021, finalmente».
A chi dedica questo Oscar?
«Ai miei genitori. Sono stata fortunata, mi hanno insegnato a bastare a me stessa, che io sono la mia stessa arte. Grazie a loro ho sempre cercato di essere sincera con me stessa e questo mi ha fatto arrivare qui oggi. Mi hanno sempre incoraggiato e con loro adesso condivido questo premio».
Frances McDormand ha ottenuto il suo terzo Oscar con Nomadland.
«Senza di lei, come attrice e come produttrice, non ci sarebbe stato il film. È stata magnifica, aperta e vulnerabile e il suo è l'Oscar più meritato».
Sul palco, durante la cerimonia ha ululato alla luna.
«Lo ha fatto per il nostro sound mixer: Mike Wolf Snyder è morto quest'anno, a soli 35 anni, e quell'ululato è un omaggio a lui che si faceva chiamare Wolf, lupo. Lo avete visto nel segmento alla memoria. Quell'ululato era per lui».
Nomadland ha iniziato a vincere a settembre, con il Leone d'oro a Venezia.
«È stato un anno particolare, molto strano. Dopo Venezia non ci siamo più incontrati sino ad ora. Di solito, quando porti un film nei circuiti dei festival, passi molto tempo insieme a chi ti ha aiutato a farlo. Questa volta non è successo. È stato bello ritrovarsi».
La pandemia ha ostacolato la produzione del film?
«Finirlo durante la pandemia è stato uno sforzo erculeo. Però la storia che abbiamo voluto raccontare in qualche modo ha funzionato bene con questo strano momento che stiamo vivendo. La nostra storia, di una comunità e della sua umanità condivisa, era quella giusta».
È un buon momento per il cinema asiatico: questa vittoria e quella di Yuh-jung Youn migliore attrice non protagonista, lo dimostrano, ma non è un bel momento per la comunità asiatica in America. Ci sono stati molti episodi di intolleranza. Pensa che i film possano aiutare?
«Se siamo sinceri con noi stessi, se raccontiamo storie vere, certo, possono aiutare. Il cinema accomuna persone diverse e quindi sì, aiuta».
Quest'anno la
categoria miglior film ha preceduto i premi per gli attori. Le è piaciuta la novità?«È stata una sorpresa divertente. Devo riconoscere che i produttori hanno fatto un gran lavoro. Non era facile in queste condizioni».
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