«Il mio obiettivo, di uomo e di artista, è togliere le pietre dall'anima che bloccano il flusso di acqua fresca». Gabriele Muccino, dopo anni di immensi successi, di cadute e di risalite, non smette di girare film che nessun altro è capace di fare e, nel contempo, di provocare, postare pensieri scomodi, dire quel che pensa senza filtri. A Napoli ha ricevuto il Nastro d'Argento per A casa tutti bene, la sua prima serie televisiva, andata in onda su Sky, di cui proprio oggi al Gianicolo comincia a girare la seconda stagione.
Muccino, il successo della serie e il prestigioso riconoscimento la ripagano delle ingiustizie di cui si è lamentato da quando è tornato da Hollywood: pregiudizi, cattiva critica, poca considerazione ricevuta da altri premi?
«La pace l'ho fatta con me stesso perché il primo a stare male ero io. Non ho più voluto soffrire: ero stanco non di non vincere, ma di essere totalmente ignorato da un premio come il David. Così ho voluto uscire da quella giuria e stare fuori da questi giochi. E sono molto contento di questo premio».
Perché ritiene ce l'abbiano con lei?
«Ancora non lo capisco. Forse è invidia. Non c'è stato nessun italiano negli ultimi 50 anni che ha avuto un successo come il mio, che ha incassato centinaia di milioni di dollari. Record che qui evidentemente non sono andati giù. E questo non fa onore al mondo a cui mi onoro di appartenere perché io amo visceralmente il cinema italiano, io esisto grazie a Zavattini, De Sica, Germi, Leone».
Lei non risulta simpatico anche perché non frena la lingua
«Il pubblico mi ha compreso e amato, in tutto il mondo. E ora ha apprezzato il film e la serie. Questo mi rende felice soprattutto dopo gli anni americani che sono stati dolorosi perché Hollywood è una bestia feroce dalle lame taglienti. Per curare quelle ferite sono dovuto tornare in Italia».
In America si è trovato immerso nel clima del politicamente corretto estremo che pochi giorni fa su Instagram ha definito «nemico di una visione illuminata, provocatrice, rivoluzionaria».
«E ho aggiunto che c'è un grande fraintendimento tra i diritti civili e una spirale perversa di retorica pericolosa. Quando 15 anni fa giravo La ricerca della felicità vedevo le prime avvisaglie di un clima che ora è diventato insopportabile ed è arrivato anche in Italia».
Cosa succedeva?
«Prima di iniziare le riprese una signora ci spiegò le regole sulle molestie sul posto di lavoro: totalmente assurde, non c'era confine tra corretto e scorretto. Ci fece l'esempio di una donna che si sentiva molestata perché pensava che il suo capo le guardasse il seno. Mi consigliavano di tenere aperte le porte dell'ufficio quando incontravo un'attrice per non incorrere nel pericolo di essere accusato di nefandezze».
Ma è capitato a milioni di donne. Non trova che nei suoi eccessi il movimento #MeToo abbia dato una grande scossa al mondo maschilista del cinema e non solo?
«Non credo. Secondo me non è cambiato nulla e nulla cambierà perché purtroppo le pulsioni umane sono sempre quelle. Il problema è una società che, per paura di vivere, implode, diventa robotica. E che arriva all'abominio della Cancel culture che abbatte le statue e riscrive i film della Disney. O che impone regole nella scelta del cast sulla base delle minoranze. Proprio quell'ondata che io avevo avvertito nel 2005 e che poi è arrivata in Italia. Un meccanismo aberrante che ci riporterà al Medioevo, in un abisso che deve essere fermato».
Per questo ha scritto quel post?
«Certo. Non posso stare zitto quando sento che nelle università si rifiutano di insegnare Dostoevskij perché c'è la guerra in Ucraina. E questa la linea oltre cui non si può andare».
E, quindi, cos'è rimasto secondo lei della campagna di Asia Argento che ha scatenato il #MeToo?
«L'ho trovato una cosa violenta. Perché se non vuoi mangiare da un piatto non lo fai, se invece ti ci nutri per anni poi non puoi dire che il cibo ti è stato messo in bocca a forza».
Asia l'ha raccontata in maniera più complessa. Invece, cosa pensa dello tsunami che ha travolto Fausto Brizzi?
«Gli è capitato quello che, per altri motivi, è accaduto anche a me. Dai tempi di Nerone, l'umanità vuole abbassare o alzare il pollice, vuole vedere qualcuno vittorioso cadere ed essere ucciso nella pubblica arena».
Nell'America del multiculturalismo e del politicamente corretto, all'improvviso accadono incidenti come il pugno dato da Will Smith a Chris Rock agli Oscar. Will è suo grande amico e protagonista del suo film di maggiore successo (La ricerca della felicità), vi siete sentiti?
«Gli ho scritto. Conoscendolo, so che sta molto male.
Quelle frasi sulla moglie sono state una scintilla che ha fatto crollare fragorosamente l'impalcatura di una vita tesa a mostrare di essere moralmente inattaccabile e con una famiglia perfetta. È crollato il tempio nel tempio del cinema. Mi dispiace tantissimo per lui e per la sua carriera».
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