Di ritorno dall'Irak brucia un giovane nell'inferno di casa

Ben accolto il secondo film di Scott Cooper, Out of the Furnace. Un thriller che cita Il cacciatore nella Pennsylvania in crisi

Di ritorno dall'Irak brucia un giovane nell'inferno di casa

Fuoco e acciaio, in America, a dividere due fratelli in Pennsylvania, dentro a un thriller ambientato nella fine dell'era Bush ma che rievoca le atmosfere del cinema hollywoodiano anni Settanta. Solo che al posto del Vietnam c'è l'Iraq e invece della roulette russa che rese iconico Il cacciatore di Michael Cimino, si fa boxe a mani nude sugli Appalachi. A metà percorso, il festival tira fuori dal cilindro uno dei film in concorso più belli della rassegna, Out of the Furnace, opera seconda del regista, sceneggiatore, produttore e attore Scott Cooper, nel 2009 vincitore di due premi Oscar con Crazy Heart. Non a caso questo dramma operaio, che racconta cosa c'è «fuori dal forno» di Braddock, dove si fonde l'acciaio, mentre avanza la crisi dell'industria pesante, è stato prodotto dall'americano Leonardo DiCaprio e dall'inglese Ridley Scott, sempre dietro ai film che contano davvero.

Il titolo rimanda sia all'ambiente di lavoro dei fratelli Baze, il mite Russell (Christian Bale) e il più aggressivo Rodney (Casey Affleck), sia al fuoco di sentimenti mai domi, tra rabbia e vendetta. Brucia la fiamma del risentimento sociale in petto a Rodney: quattro volte soldato in Iraq, il ragazzo si mette in un brutto giro di debiti e incontri di boxe clandestini, gestiti da un boss locale (Willem Dafoe), mentre il fratello, uscito dal carcere dopo aver causato un incidente d'auto, cerca di farlo riflettere. Nel film, orgogliosamente girato in 35 millimetri e ben fotografato da Masanobu Takayangi, con immagini pallide come la scarsa speranza nel futuro nutrita dai protagonisti, tutto si svolge con uguale violenza esistenziale: un drive-in nel nulla, dove il delinquente De Groat (Woody Harrelson, calvo come il Kurtz di Apocalypse Now) detta legge a suon di pugni; uno sceriffo (il premio Oscar Forest Whithaker), che ruba la donna (Zoe Saldana) a Russell, mentre lui sconta il carcere e papà Baze muore d'un cancro contratto all'acciaieria. Ricorda qualcosa d'italiano ed è singolare che nessun giovane autore pensi di girare un film sui drammi umani legati all'Ilva, per esempio, mentre in Italia collassa l'industria pesante.

Non c'è un raggio di luce, comunque, nella cittadina della cosiddetta «Rust Belt» manifatturiera, quella regione postindustriale Usa, dove declino e decadenza urbana si fanno largo e dove soltanto il legame familiare e la lealtà tra fratelli ha un senso. Il punto di rottura, qui, arriva quando Rodney viene ucciso nel bosco, per un regolamento di conti tra il boss urbano (Dafoe) e quello di montagna (Harrelson): due brutti ceffi, causa diretta del cambiamento di Russell, che da mite operaio si armerà per uccidere chi gli ha ucciso il fratello. Con lo stesso fucile con cui caccia cervi nei boschi, insieme allo zio, elemento narrativo che porta a espliciti rimandi alla scena in cui De Niro, ne Il cacciatore, grazia il cervo del quale incontra lo sguardo.

Scott Cooper, stavolta, ci mette il suo vissuto: il nonno lavorava nelle miniere di carbone della Virginia e, insieme a lui, andava a caccia di cervi.

L'elemento di forza di questo racconto rurale è nel cast solido, col malinconico Christian Bale in testa: convince il suo personaggio di fratello protettivo, inizialmente affidato a DiCaprio. Insieme a Affleck, Bale ieri ha dichiarato forfait: un'altra occasione persa sul tappeto rosso povero di stelle.

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