Una serie caliente senza né arte né parte. Il diario di un gigolò è il nuovo fenomeno di Netflix

Ai primi dieci posti della classifica di Netflix, la nuova serie messicana (ma prodotta in America) su un uomo che lavora come gigolò sta facendo impazzire tutti

Una serie caliente senza né arte né parte. Il diario di un gigolò è il nuovo fenomeno di Netflix

Sappiamo fin troppo bene che oggi l’offerta di serie tv è sconfinata. Quasi non si riesce a stare al passo con tutti i programmi americani (e non) che arrivano in Italia sui canali streaming a pagamento. Di sicuro, è il catalogo di Netflix quello più completo, dato che è l’unico a offrire uno sguardo non sono alla serialità (e ai film) a stelle e strisce ma che apre una finestra a produzioni europee, messicane e venezuelane. Una di queste, negli ultimi giorni, sta facendo molto parlare di sé tanto da arrivare nella top ten delle serie più viste su Netflix. Stiamo parlando de Il diario di un gigolò, serie messicana ad alto tasso erotico, che è arrivata a fine estate in Italia e subito ha racimolato un consenso dopo l’altro.

Una serie caliente, questo è vero. Ma Il diario di uno gigolò è anche un audace thriller che unisce il drama a una romantica e proibitissima storia d’amore. Un racconto coinvolgente, patinato e con un protagonista bello come un dio greco, eppure, nonostante queste caratteristiche, la serie non spicca mai il volo, cadendo vittima di colpi di scena telefonati e tipici di una soap-opera. Nonostante ciò, la serie vola alto nell’indice di gradimento del pubblico tanto è vero che si comincia a parlare già di una seconda stagione. Una serie messicana ma formalmente prodotta negli Stati Uniti che arricchisce il catalogo di Netflix ma influisce ad abbassare la qualità dei prodotti del celebre colosso dello streaming.

La dura legge del gigolò

Emanuel si muove in un mondo dove il potere dei soldi è tutto. Dal passato tormentato e difficile, da adulto lavora in una casa d’aste come responsabile delle pubbliche relazioni. Di notte, invece, indossa gli abiti di un abile seduttore, arrecando piacere (a pagamento) a tutte quelle donne di alto profilo che si trovano imbrigliate in una vita infelice. Emanuel sa come comportarsi. È un amante perfetto sotto tutti i punti di vista. In questo abile gioco di seduzione, il giovane ha una sola regola: mai innamorarsi. Il castello di carta, però, comincia a traballare pericolosamente nel momento in cui Ana, una cliente, chiede a Emanuel di entrare nella vita di sua figlia. La ragazza che vive con il rimorso di essere la responsabile dell’incidente mortale del padre si è chiusa in se stessa. Emanuel ha il compito di sanare i suoi dolori ma, alla fine, finisce per legarsi a lei sentimentalmente. La storia compie poi un balzo in avanti di sei mesi, dove troviamo il gigolò in prigione e accusato di barbaro omicidio, senza pensare che il ragazzo è stato vittima di un torbido inganno.

Proibito innamorarsi

È una serie tv che funziona ma in minima parte. Il diario di uno Gigolò può anche avere una trama coinvolgente che miscela il dramma umano, l’erotismo e al mistero, eppure ha un intreccio così ingarbugliato che si fa fatica a stare al passo con la narrazione. Dal primo episodio, lento e didascalico che punta molto al lato voyeuristico della storia, mostrando scene di sesso gratuite (ma per nulla volgari), fino ad arrivare al terzo capitolo in cui si focalizza molto di più sulla storia d’amore (proibita) tra Emanuel e la figlia della sua cliente – scatenando troppe gelosie -. Dal thriller si passa al melò nudo e crudo, tanto è vero che il racconto perde il mordente, finendo per diventare una sterile soap-opera in odore di già visto. Il diario di uno gigolò è un prodotto di puro intrattenimento, e dove non c’è nessun sottotesto politico e sociale, ma tutto questo non basta. Manca la magia, manca l’emozione, manca il batticuore.

Un attore dai profondi occhi di ghiaccio

Visto che la serie lascia il tempo che trova, durante la visione ci siamo posti una domanda. Perché Il diario di uno gigolò ha avuto tutto questo (insperato) successo? E, di sicuro, tutto è dovuto alla bellezza (e non alla bravura) di Jesus Castro che interpreta il bel Emanuel. Attore di scarsa qualità e con pochissime doti recitative, riesce comunque in un’impresa impossibile: coinvolgere il pubblico durante la visione. Questo perché l’attore riesce a incarnare perfettamente l’idea dell’uomo bello, dannato e tormentato. Ha la voce roca e spessa, ha un fisico statuario e un ottimo gusto nel vestire. Ha due occhi celesti, profondi come un mare in tempesta e sa ammiccare alla telecamera. È come se il giovane Jesus fosse nato per questo ruolo, cucito perfettamente sulle sue solide spalle. Ma, neanche in questo caso, la bellezza dell’attore riesce a risollevare le sorti di una serie che non ha né arte né parte.

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È una serie da vedere assolutamente?

Oggi è facile parlare di fenomeni televisivi. In un mondo in cui anche il comparto televisivo si è mercificato rispetto al passato, è lecito pensare che si è persa la bussola e che risulta molto complicato trovare in un’offerta così spropositata qualcosa su cui vale la pena spendere il proprio tempo. Netflix conta sulla quantità e non sulla qualità, quindi è più che normale parlare di fenomeni di massa in un contesto di questo tipo. Il successo de Il diario di un gigolò è ambivalente. Se da una parte piace il fatto di conoscere il ruolo di potere di un uomo che vende per soldi il proprio corpo a donne facoltose, non convince il fatto di voler proporre al pubblico la solita miscela di colpi di scena già abusati per una vicenda che poteva essere costruita (e venduta) in modo diverso. Tanto da comprendere come non c’è la voglia di osare e di proporre qualcosa di nuovo, ma solo l’intenzione di seguire il mero guadagno. Se è una serie da vedere? Assolutamente no.

Il fascino delle serie messicane

Il successo de Il Diario di uno gigolò è solo l’ultimo esempio di un comparto televisivo che, oramai, è alla deriva. Su Netflix, oltre alle serie messicane come Che fine ha fatta Sara?, Monarch e altre ancora, trovano successo anche le serie spagnole come Elite e molte altre.

Serie che vivono all’ombra dei grandi colossi ma che, per una strana congiunzione astrale, diventano piccoli ma grandi successi senza nessuno motivo apparente. Uno c’è, a voler essere sinceri. Propongono una visione edulcorata, sexy e fascinosa di una cultura distante anni luce dalla nostra.

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