La splendida Elisabetta Pozzi esalta «I Persiani»

IPersiani di Andrea Chiodi comincia su una spianata che non è il mare ma neanche la terraferma, illuminata dal riverbero solitario di una fotografia che ci rimanda a grande distanza l'immagine di un soldato col viso illuminato dalla gioia. La gioia di una vittoria annunciata e poi miseramente deflagrata nell'orrore della sconfitta. C'è solo un olivo scheletrico che, come un imbarazzante reperto, ci rimanda l'immagine tremenda di uno spazio vuoto, illuminato dalla paura che si propaga a dismisura. Entra, a questo punto, anche il Coro. Che non sembra il Coro di un'armata sconfitta che fa tristemente ritorno in una patria dilaniata, ma una retroguardia di giovani sorpresa dall'incapacità di reagire a una calamità del tutto inattesa. Non sembrano infatti i resti sanguinosi di un esercito in rotta, ma i testimoni di una deflagrazione di massa. La quale viene testimoniata dall'apparizione di Atossa, regina spaventata a cui Elisabetta Pozzi presta una maschera disfatta e una vibrante dizione tutta concentrata sul terribile quesito di come e cosa sia potuto accadere. Comincia così il terribile resoconto di una guerra perduta, mentre si snoda in differita la narrazione del Messaggero cui presta voce la dolorosa irruenza di Ivan Zerbinati. Prima che l'ombra di Dario, agita con bella retorica da Alberto Mancioppi, non stenda un pietoso velo sulla disfatta.

Tutto questo sotto l'intelligente resa scenica del regista che si raggruma nell'alto lamento di una splendida Elisabetta Pozzi e del resto del Coro in stato di grazia.

I PERSIANI - Arena Shakespeare Fondazione Teatro Due, Parma.

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