Presentato in anteprima al Torino Film Festival, "Tito e gli alieni", opera seconda della regista milanese Paola Randi, mischia commedia grottesca e fantascienza. Il film si fa apprezzare per la temeraria stravaganza ma, nonostante indubbi grandi pregi, presenta alcuni difetti che ne smorzano il potenziale.
Racconta di un professore (Valerio Mastandrea) che vive da anni isolato nel deserto nel Nevada, dove dovrebbe occuparsi di un progetto supervisionato dall'Area 51 ma, in realtà, si trascina in uno stato di apatia a seguito della perdita della moglie. Sarà l’arrivo dei due nipoti rimasti orfani, Anita (Chiara Stella Riccio) e Tito (Luca Esposito), a scuotere l’uomo dalla cristallizzazione del dolore.
A tratti poetico e visionario, "Tito e gli alieni" richiama, per impianto narrativo e ambientazione, alcune tipiche pellicole indie americane. Le location povere ma d'effetto e l'estetica minimalista danno luogo a un delicato connubio di equilibrio ed eccentricità.
Convincono le inquadrature dalla composizione perfetta, così come la fotografia dai colori saturi con cui sono esaltate le mutazioni cromatiche del cielo sul deserto.
L'attenzione alla resa visiva delle soluzioni sceniche, però, non è la stessa riservata ad altri aspetti del film: il ritmo lascia molto a desiderare, i dialoghi sono ridotti all'osso e non si scende mai davvero in profondità, accontentandosi di regalare suggestioni oniriche intervallate da qualche blanda risata o da scorci di tristezza.
Tra macchinari dal sapore vintage, matrimoni spaziali e spassose sistemazioni abitative si dissacra l'immaginario legato all'area 51, mentre con una citazione di "Incontri ravvicinati del terzo tipo" va in scena un'elaborazione del lutto collettiva davvero commovente.
In questa lenta melodia sulle cui note danzano le solitudini dei vari personaggi, tutti cercano la stessa cosa: la sutura alla ferita della perdita. Tendenzialmente pensano di trovarla fuori da sé e sono disposti a percorrere distanze siderali per lenire il silenzio lasciato da una voce cara che non c'è più. Scopriranno, invece, che la vita ricomincia da dentro, da quel che non se ne è mai andato, dai ricordi e dalle persone vicine.
"Tito e gli alieni", pur non convincendo fino in fondo, resta un lodevole tentativo di parlare di alienazione esistenziale scomodando ironicamente l'esistenza degli alieni, ma soprattutto rappresenta una piccola meditazione agrodolce sul valore dei ricordi e sul potere salvifico degli affetti.
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