Pochi testi nella storia del teatro hanno avuto con successo una doppia esposizione di palcoscenico esibendo le ferite derivanti da un rapporto condannato fin dall'inizio dall'usura del rapporto coniugale. Parliamo della famosa Danza di morte di August Strindberg che ancor oggi si rappresenta con successo in tutto il mondo, seguita a ruota dal suo omologo, ovvero quel Play Strindberg frutto di un geniale compromesso fra il capolavoro del passato e il presente segnato dalla penna irriverente di Friedrich Dürrenmatt. Chiariamo subito che non si tratta di una delle riscritture che conosciamo da tempo, piuttosto di uno sguardo disincantato sulla stessa materia esplosiva dell'originale. Perché agli occhi dell'autore elvetico il materiale teatrale risulta identico, anche se tutto può svolgersi in una stanza qualsiasi e non in una torre che guarda sul mare in attesa dell'ospite indesiderato. Che ha il nome di Kurt, cugino della protagonista e da lei amato in passato. Dürrenmatt, anticipando le indimenticabili Scene da un matrimonio narrate al cinema da Ingmar Bergman, dimostra che basta proiettare la storia dei protagonisti dentro e fuori dal tempo come un apologo tragico della condizione umana.
Dove i tre bravissimi attori (Maurizio Donadoni, Franco Castellano e Maria Paiato) diretti con mano salda da Franco Però si dilaniano con furore in una crisi senza esclusione di colpi che precipita sul pubblico come una tragedia che non ha mai fine. E che riaprirà domani davanti a un altro pubblico.PLAY STRINDBERG - Roma, teatro Eliseo.
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