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Una tribù di "cover" che ballano

Con Morandi arriva Jovanotti in una sarabanda di storie e stili (troppi)

Una tribù di "cover" che ballano

Sanremo. Avanti prego, ce n'è per tutti i gusti. Da Noemi che canta You make me feel like a natural woman di Aretha Franklin fino alla Bambola di Patty Pravo spogliata e rivestita da Dargen D'Amico o A far l'amore comincia tu di Raffaella Carrà malmenata da Tananai con Rose Chemical. Nella «serata delle cover» (iniziata dal bravissimo deejay Massimo Alberti) si sono aperti i recinti musicali fino a comprendere tutta la produzione italiana e internazionale degli anni '60/70/80/90. Troppo.


La serata delle «cover» è stata inventata da Tony Renis nel Festival del 2004 per omaggiare la «canzone italiana» nel Festival. Un'idea vincente che quasi vent'anni dopo mostra le corde. Non certo perché, come si è visto anche durante le prove nel pomeriggio all'Ariston, il livello delle interpretazioni fosse basso. Anzi. Anche alla sera, sul palco Achille Lauro e Loredana Bertè sono stati scintillanti in Sei bellissima mentre Emma e Francesca Michielin hanno davvero cambiato pelle a ...Baby one more time di Britney Spears. Fabrizio Moro, poi era a suo agio in Uomini soli dei Pooh, La Rappresentante di Lista non hanno sbagliato a sfidare le Ronettes di Be my baby e persino Il cielo in una stanza di Gino Paoli ha resistito al restyling di Mahmood e Blanco. Anche il giovanissimo Matteo Romano con Malika Ayane non si è nebulizzato cantando l'immensa Your song di Elton John.


E Gianni Morandi? L'arrivo a (quasi) sorpresa di Jovanotti è stato un colpo vincente per un medley di loro brani che ha funzionato dall'inizio alla fine. Poi loro due in smoking bianco chi li rivede più? Favolosi. Insomma, prese una per una ciascuna versione aveva un senso, una dignità, persino una luce nuova. Ma è la serata in sé che ha perso quella forza innovativa e sorprendente che ha conservato per anni. Da una parte si assottiglia il repertorio italiano non ancora portato sul palco. Dall'altra mettere in scaletta le canzoni straniere è quasi una contraddizione in termini in quello che dovrebbe essere l'omaggio alla nostra memoria pop.


Se c'è la bellissima Live and let die di Paul McCartney si può senza dubbio applaudire Le Vibrazioni che l'hanno interpretata bene con Sophie and the Giants. Ma che c'azzecca all'Ariston si chiedono in molti. E d è difficile dare una risposta.

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