Venezia79: “Bardo”, il limbo emotivo di Inarritu tra memoria e sogno

Un viaggio tra immaginazione e ricordi che diventa riflessione sull’esistenza. Perché se la vita ha una narrazione falsata dalle emozioni, in queste ultime ha comunque tutto ciò che conta

Venezia79: “Bardo”, il limbo emotivo di Inarritu tra memoria e sogno

Tra gli appuntamenti imperdibili della mostra del cinema di Venezia iniziata ieri, c’è senza ombra di dubbio quello odierno della proiezione del nuovo film di Alejandro Inarritu, Bardo.

Il regista, già premio Oscar per “Revenant” e “Birdman” (quest’ultimo presentato qui in concorso), non dava alle sale un film da sette anni.

Proprio come già avvenuto con “Roma” di Alfonso Cuaron, pellicola d’ispirazione autobiografica targata Netflix e vincitrice del Leone d’Oro, Inarritu si affida al colosso dello streaming e porta in concorso un’opera profondamente legata alla sua storia personale e per la quale è tornato a girare nella sua città natale. Il cineasta, investendo cinque anni della propria vita, ha dato fondo a ricordi, ossessioni, incubi e chimere, confezionando un ensemble di accadimenti incerti perché dettati da una memoria filtrata dall'emotività. Il titolo completo, del resto, recita “Bardo o la falsa cronaca di alcune verità” e sta a significare che quanto vedremo sarà la reinterpretazione personale di qualcosa che appartiene al passato.

Protagonista del film è un giornalista messicano (Daniel Giménez Cacho) che vive con la famiglia a Los Angeles da molti anni e che, divenuto poi documentarista, sta per essere il primo latino americano insignito di un non meglio precisato ma prestigioso premio negli Stati Uniti. Si troverà a tornare in patria e a far un bilancio della propria vita, tentando anche di lasciar andare un vecchio trauma.

“Bardo” non sarà un film strettamente autobiografico ma è indubbio che riveli molto del suo autore, per il quale la realizzazione deve essere stata un’esperienza liberatoria come solo lo svelamento e la condivisione delle parti più profonde di sé può essere.

Quelle che sembrano pennellate impressioniste su schermo, in realtà sono parte di una struttura ad altissima precisione: l’onirico del resto può essere nitido come e più del reale. Per tre ore le frontiere spazio temporali diventano indecifrabili e fin dalle prime tre scene memorabili che aprono il film c’è già tutto quel che seguirà: un miscuglio di realtà, sogno e finzione.

"Bardo" è un viaggio in un luogo di mezzo, quello tra il vero vissuto e ciò che avrebbe potuto essere. È anche uno stato mentale di transizione tra luoghi e dimensioni diverse, come pure da uno stadio evolutivo all’altro. Infine, una sorta di compendio su come il senso dell’esistenza sia percepibile o meno in itinere.

Nel film ci sono pensieri di matrice universale, come l’idea che siamo per lo più bipedi arroganti i quali, per quanto inadatti a farlo, sono chiamati a misurarsi col concetto di responsabilità e con quello di realtà. Si va poi su argomenti più specifici come la storia del Messico, giocando a proporre eterne diatribe sulla narrazione che ne viene tramandata. Va in scena il problematico rapporto del protagonista col proprio paese d’origine, in cui si soffre e si muore di fame, mentre lui da anni ormai conosce solo la sicurezza della “realtà pastorizzata” statunitense, da immigrato di prima classe qual è. La sua identità è sospesa tra due terre d’elezione e in entrambe è in qualche modo straniero.

Infine buona parte di “Bardo” indaga la dimensione intima, quella dei legami sentimentali di un uomo con il coniuge, i figli, l'anziana madre e il defunto padre. Nella regressione alla casa d’infanzia e al quartiere d’origine, scaturiscono digressioni in cui confrontarsi con le figure genitoriali e ribadirne gli insegnamenti chiave.

Come nella vita rappresentata nel suo insieme, ci sono scene dal tono surreale e beffardo, altre piene di struggimento. Un momento è quello della festa in cui abbandonarsi alla danza più sfrenata, un altro quello di fare i conti con la voce della coscienza e con la parte più autocritica di noi (qui impersonata dall’ex collega Louis).

Tra immagini da “ultimo uomo sulla terra” e altre da “caduta degli dei”, quel che sopravvive è l’anelito a percorrere una salita che non si sa dove porti.

Fedele ritratto della parabola esistenziale, la visione di “Bardo” ti fa chiedere in alcuni momenti se lo sforzo valga la pena.

A tragitto finito la risposta non può che essere affermativa.

Di più non si può dire. Ci sono cose che vanno viste, vissute o sognate. Se si riesce a far coincidere queste tre azioni su di uno schermo, come in questo caso, si tratta di vero cinema.

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