Da tempo Donato Carrisi è considerato uno dei grandi maestri della suspense italiana grazie al successo internazionale di romanzi come Il suggeritore, Il tribunale delle anime, L'ipotesi del male e di pellicole come La ragazza nella nebbia e L'uomo del labirinto che hanno mostrato il suo grande talento visionario anche come regista. Ed è proprio sul set del suo ultimo film, Io sono l'abisso, e a pochi giorni dal lancio stampa della sua nuova fatica letteraria che abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo. Carrisi è molto contento sia dell'ultima pellicola (in attesa ancora di distribuzione e data d'uscita) sia del nuovo romanzo, in libreria in questi giorni: La casa senza ricordi (Longanesi).
«Ho appena finito di girare Io sono l'abisso, che adatta il mio omonimo romanzo. Vi parrà strano per uno che scrive storie di suspense e paura come me ma è una storia d'amore thriller. I meccanismi di sviluppo della storia e i colpi di scena non sono legati all'azione ma ai sentimenti. Non c'è quasi detection, investigazione, nel film e la pellicola inizia in maniera chiara e non oscura. Vi dico tutto all'inizio del film con una dichiarazione sincera che non nasconde nulla. E una storia che si muove nell'abisso senza mostrarlo. Si muove sottotraccia e poi a un certo punto iniziano dei colpi di scena inaspettati che lasceranno lo spettatore senza fiato».
Quanto ha cambiato il romanzo di partenza?
«C'è una parte che e stata rielaborata perché facendo cinema si passa a un altro linguaggio e l'uso delle immagini è primario. A differenza del romanzo originale ci sono pochissime parole. La pellicola inizia in silenzio, senza musica per almeno una mezz'ora. È volontariamente silenzioso, poi cambia registro. Non posso dirvi nient'altro. Ci sono solo tre battute nella prima mezz'ora ma il film corre via che e una meraviglia e vi terrà incollati alle sedie. Un film di tensione con la colonna sonora che arriva solo in un momento speciale quando tutto all'improvviso cambia. So quanto un tema sonoro possa essere ossessivo e quanto possa diventare la cifra narrativa originale di una storia».
Può svelarci i nomi degli attori del film?
«No, dovrete aspettare».
Com'è stato dirigere sullo schermo attori come Tony Servillo e Dustin Hoffman nei suoi precedenti film?
«Un'esperienza incredibile accanto a due grandissimi professionisti».
E più facile spaventare scrivendo un romanzo o girando un film?
«Che bella domanda. Al cinema c'è sempre una paura condivisa che è quella di essere in sala al buio con qualcuno di fianco che magari non conosci. La paura in un libro la vivi da solo e la scateni tu anche se l'ha generata uno scrittore. Io cerco sempre la paura nel lettore e nello spettatore cercando di individuarla e di svilupparla in quello che scrivo e giro in pellicola. Non voglio provocarla dall'esterno, voglio tirarla fuori».
Ma Lei ha mai paura?
«Ho sempre avuto paura delle bambole e soprattutto del Cicciobello che i miei genitori mi mettevano in fondo alla stanza per evitare che mi alzassi di notte o che facessi qualsiasi cosa che mi fosse proibita. Ancora oggi se uno vuole spaventarmi me ne fa trovare una. Mi è capitato anche sul set de L'uomo del labirinto e devo ancora scoprire chi è stato che ha voluto terrorizzarmi cosi, mettendomi una bambola davanti al monitor a Cinecittà. Prima ho pensato che fosse uno scherzo poi ho capito che forse c'era dell'altro...».
Nel frattempo Lei ha finito un nuovo thriller.
«S'intitola La casa senza ricordi (Longanesi) e racconta la storia di un bambino, Nico, che scompare assieme a sua madre. Quando ritornerà verrà ritrovato nella Valle dell'Inferno e non ricorda nulla. Non si sa chi lo ha accudito per tutto questo tempo, non si sa cosa gli è successo... Sarà lo psichiatra e ipnotista Pietro Gerber - già presente ne La casa delle voci - a cercare di far emergere i ricordi in lui. E la cosa più spaventosa sarà che le storie che troverà nel suo subconscio non sono sue...».
È vero che Lei si e sottoposto a ipnosi per scrivere il romanzo?
«Sì, devo dire che ero molto scettico, credevo che ci fosse molto di inventato nelle teorie di questa branca della psicanalisi. Ero convinto che nessuno mi avrebbe mai potuto ipnotizzare, poi ho accettato la sfida di una mia amica e quando mi sono risvegliato su un lettino e ho guardato fuori dalla finestra e ho visto che era notte ho capito che ero finito in una situazione che non avevo potuto gestire. Ho avuto paura. Poi mi sono fatto raccontare che cosa era successo e cosa avevo svelato allo psichiatra durante quella seduta».
Nel suo romanzo si ipotizza che qualcuno possa trovarsi a condividere nella sua psiche i ricordi di qualcun altro. È un'invenzione?
«No, ma non posso svelare la trama del romanzo, semplicemente posso suggerirle di immaginarsi cosa succederebbe se qualcuno potessi suggerirci dei ricordi, se potesse innestarli per sempre in noi e condizionarci».
C'è qualche consiglio che vuole a dare ai lettori del suo La casa senza ricordi?
«Fate molta attenzione al capitolo 55: è il più inquietante che io abbia mai scritto.
Potete anche leggerlo separatamente alla storia perché è totalmente autonomo. Potete anche decidere di non leggerlo se pensate che possa essere per voi troppo disturbante. Non voglio condizionarvi ma semplicemente avvertirvi...».
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