Vi piace viaggiare? Le guide più colte che potete portarvi dietro non sono quelle Michelin, tantomeno sbirciare le recensioni democratiche e ignoranti di Trip Advisor, ma i libri di Alberto Arbasino, il nostro fratello d'Italia numero uno che conosce tutto, ha visto tutto, e non resta a bocca aperta di fronte a niente.
Arbasino è un demistificatore professionista, riduce qualsiasi cosa a uno stereotipo culturale, è immune dalla sindrome di Stendhal, e con la sua verve mitridatizza anche voi. Come per esempio Dall'Ellade a Bisanzio, appena ristampato da Adelphi, dove tra le altre cose vi passa la voglia di andare in Grecia. Atene, tanto per dire, è un posto dove si mangia da schifo: «Tutti questi piatti omerici e socratici sono talmente unti, cicciolosi, pepati, speziati, drogati, fritti», ti viene da vomitare. Lo spezzatino te lo avvolgono in foglie di vite, ma niente di speciale: «sembra la stessa cosa che andare in una vigna a Frascati, staccare una foglia senza verderame, e mangiarla così com'è». Dove i turisti più classicheggianti si domandano: «Ma quali saranno le vivande più platoniche?». Arbasino scrive negli anni Sessanta, ma non è cambiato molto, e lui resta sempre lo scrittore più avanti di tutti. Tutto diventa kitsch, un déja vù, una cialtronata.
Nei ristoranti di Atene sono garantiti solo blocchi intestinali e diaree. Mentre la popolazione per le strade trabocca una desolante meridionalità, tanti «flashback dei nostri neorealismi, roba di ieri: De Sica, De Filippo, Macario, Totò, visti all'estero». Fra tram vecchissimi, e vie squallide che si chiamano Socrate e Sofocle, e «al di fuori delle eccitazioni programmate al Partenone, ai Propilei, all'Eretteo: soprattutto nobili sassi suggestivi ma senza orgasmi». Inutile andare sulle alture in cerca di ispirazioni, l'Areopago, la Pnyx, un colle delle Ninfe, la città vista da lì è una deprimente estensione gialla, mentre di notte «è come una Napoli normalizzata dall'alto».
Nei musei niente di che, il meglio lo hanno portato altrove. Restano solo le tragedie, che viste da Arbasino sono una tragedia da sbadiglio e traboccano di banalità, «di una noiosità spettacolare e fuori dal comune», tutta una «sacralità baraccona». Insomma, andrebbero lette sui libri, non visce in scena, soprattutto a Atene. «Leggendo il testo o un bignami sembra tutt'altra cosa; ma guardando senza capire le parole la tragedia si presenta così: nutrici scervellate vegliano un paio di bambinastri robusti figli di Eracle, ma un malvagio Vincent Price li detesta in un crepuscolo di Casa Usher, e un Laocoonte con tante barbe si addolora nell'accento di Chioggia». D'altra parte la stessa tragedia greca è ridicola se vista con occhi moderni.
«Tutto quel Male, à la Georges Bataille, deriva dal mancato uso del puntuale oh, shit, che è sempre stato più efficace di qualunque lancia, spada, daga, pugnale, brando. Però anche qualche diligente vaffa minoico o fuck off cicladico avrebbe tempestivamente evitato fior di sciagure».
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