Zaha Hadid: "Chi l'ha detto che i grattacieli sono cose da uomini?"

Il senso dell'architettura, i suoi progetti, il rapporto con l'Italia, l'insegnamento... Poco prima di morire, l'archistar aveva accettato di parlare con il nostro giornale. Ecco il testo di quell'incontro

Zaha Hadid: "Chi l'ha detto che i grattacieli sono cose da uomini?"

Quali sono i progetti di architettura che sta sviluppando nel mondo?

«Sto lavorando con il mio studio a 37 progetti in 22 paesi nel mondo, incarichi che sono ormai alla fase di costruzione o avviati a un processo di design dettagliato. Negli ultimi tempi siamo stati molto attivi su nuove elaborazioni di aeroporti, musei e grattacieli. Il 25 aprile Matteo Renzi inaugurerà il terminal marittimo di Salerno, che permetterà a navi di grandi dimensioni come quelle da crociera di attraccare direttamente alla banchina. A settembre invece sarà la volta della Port House di Anversa, in Belgio, il secondo porto più grande d'Europa, con un flusso annuale di quindicimila navi cargo e di sessantamila imbarcazioni. La nuova Port House ha trasformato una vecchia caserma dei vigili del fuoco in abbandono nei nuovi Uffici direttivi delle autorità portuali, permettendo un'ampia vista del porto che si spalanca fino ai docks e agli ormeggi. In ottobre, il King Abdullah Petroleum Studies and Research Centre di Riyadh, in Arabia Saudita, sarà ultimato e completamente operativo: è un istituto di ricerca non-profit che si occupa di identificare soluzioni per un più efficace sfruttamento delle energie per favorire il progresso economico e sociale a livello globale. A dicembre, infine, aprirà la Mathematics Gallery del museo di Scienze Naturali di Londra: un luogo votato al fantastico che racconta come i matematici, con i loro strumenti e le loro idee, abbiano contribuito a dar forma al mondo moderno negli ultimi 400 anni. Il design e layout della Galleria sono definiti attraverso equazioni matematiche che determinano superfici tridimensionali curve che rappresentano i grafici dei flussi d'aria attorno a uno storico aereo del 1929. Alcuni ulteriori interventi progettuali includono il terminal aeroportuale di Pechino a Daxing, in Cina e un grattacielo sulla 520 West 28th Street a New York, ambedue già in costruzione, oltre allo Sleuk Rith Institute a Phnom Pehn, in Cambogia».

Ci racconta qualcosa di più del terminal di Salerno?

«Il progetto intende forgiare una nuova relazione tra la città e il suo fronte sul mare. Come un'ostrica, il corpo di fabbrica è formato da una conchiglia forte e protettiva che contiene in sé l'elemento organico e fluido dei movimenti dei passeggeri, guidandoli attraverso tutto l'edificio. Di notte, il brillare del terminal sembrerà agire sul porto come un faro, quasi a divenire un marchio simbolico del mosaico di tracce che appartengono al suo ancestrale passato normanno e saraceno. In termini funzionali, il complesso si pone come una morbida transizione tra terra e mare, mediando costantemente, quasi a volerli mescolare, la solidità tellurica con la liquida e imprendibile consistenza marina».

Il suo rapporto con l'Italia è molto forte, cosa la attrae del nostro Paese?

«I miei genitori mi hanno portato in Italia quando ero molto giovane. La mia prima visita a Roma è avvenuta circa cinquant'anni prima di vincere l'incarico per il MAXXI. Vi sembrerà banale che lo sottolinei, ma è un dato di fatto che gli italiani possiedano un inarrivabile senso dello stile e che l'Italia abbia una storia così lunga e una ricchissima tradizione nella manifattura artigiana della più alta qualità. La matrice culturale e la sapienza produttiva italiana di eccellenza sono presenti in molte delle nostre realizzazioni nel mondo intero. Per fare un esempio, la facciata in puro acciaio di uno dei nostri progetti più recenti, il Middle East Center dell'Università di Oxford, al St. Antony College, è quasi un'eco perfetta di questo solco dallo sviluppo secolare. Una squadra di artigiani italiani molto qualificati ha costruito e installato questo progetto a Oxford, dedicandovi una cura assoluta».

Lei è stata insignita di numerosi premi, l'ultimo dei quali la British Royal Gold Medal. Cosa si prova ad essere la prima donna a ricevere questo riconoscimento?

«Penso sia fantastico e sono davvero grata di averlo ricevuto. Ma, per quanto eccezionale, non lo prendo così sul serio da influire sulla mia esistenza. Credo fermamente che quando ti capita di vivere dei bei momenti, non devi fare altro che accettarli e goderteli. È certo che è un onore quello che mi hanno tributato, ma la cosa che davvero trovo più eccitante è che adesso anche molta gente al di fuori dello specifico ambito dell'edilizia finalmente si interessi all'impatto che l'architettura esercita sulle loro vite, sulle città dove abitano. Trent'anni fa ciò non accadeva, era un fattore importante soltanto per coloro che erano dentro a quest'industria. Un cambiamento radicale avvenuto in un lasso di tempo tanto breve, per me ha dello straordinario e soprattutto sono felice di essere parte di questa dinamica di condivisione».

È ancora difficile per una donna riuscire ad affermarsi in un campo considerato maschile come l'architettura?

«Ritengo non ci sia alcuna differenza tra uomini e donne nella capacità di visione, men che meno in termini di costruire. La diversità può farsi strada attraverso l'ego o la fiducia in se stessa di una donna, ma se ce ne danno facoltà possiamo disegnare, creare esattamente nella medesima maniera. Spesso ho sentito affermare che una donna-architetto non fosse in grado di occuparsi ad esempio di un grande progetto commerciale. Devo ammettere che esiste un pregiudizio secondo il quale le donne dovrebbero dedicarsi soprattutto alla progettazione di interni, preferendo avere a che fare con un singolo cliente, piuttosto che trattare con la direzione di grossi gruppi aziendali e gestire le maestranze. Ma per me in quanto donna, sono assolutamente sicura di saper fare molto bene un grattacielo, un museo o un aeroporto. Non penso che siano soltanto roba da uomini. Credo invece che l'affermazione professionale delle donne sia ancora difficile perché esistono tuttora dei mondi cui non hanno possibilità di accesso».

Ha avuto la cattedra che fu di Kenzo Tange alla Harvard University e poi ha insegnato come Visiting Professor a Yale. Che cosa pensa sul trasmettere un'eredità di sapere e di creare alle nuove generazioni?

«Non credo si possa insegnare l'architettura. Certamente puoi tenere qualche lezione di storia e poi trasmettere le ragioni tecniche e i concetti caratteristici di un modo di pensare il design. Ma in realtà puoi solo dare ispirazione ad altra gente per spingersi a fare il prossimo passo. Una sfida piuttosto ardua, perché in primis non tutti possono affrontarla e, in secondo luogo, non è un qualcosa di tangibile. Non entro mai in un'aula affermando dogmatica: Vi insegnerò questo, oggi. Impostiamo sempre un problema da risolvere e poi insieme lo esploriamo. È sicuro che, come docente, il momento più eccitante è quando, dopo aver dato l'impostazione di un problema e avviato la ricerca, inizi a nutrire certe aspettative su quali risultati uno studente sia capace di ottenere e questi riesce a stupirti, non solo soddisfacendole, ma addirittura andando ben oltre quanto ti attendevi da lui. Bisogna incoraggiare i ragazzi a migliorare il loro impatto progettuale sulla società. Da principio magari si spaventeranno... non di me, sia chiaro... Ma devono soltanto essere rassicurati che stanno facendo il loro meglio. Con una laurea in libertà».

In che direzione sta andando l'architettura?

«L'architettura può anche dare un aiuto significativo alla riorganizzazione dei modelli di vita in modo che tutti possano contribuire a una società più ecologica e sostenibile. Gli enormi progressi compiuti nel campo della tecnologia di progettazione consentono agli architetti di ripensare la forma e lo spazio, utilizzando nuovi metodi e materiali di costruzione in fase di sviluppo quali facciate architettoniche sofisticate che possono assumere praticamente qualsiasi forma, comprimere in un unico strato le proprietà strutturali, impermeabilizzanti e isolanti, ed essere facilmente fabbricate e assemblate in qualunque posto. Anche la stampa 3D sta aprendo molte nuove possibilità per il settore edile. Ora possiamo creare edifici che ottimizzano l'ambiente per adattarsi in qualsiasi momento alle esigenze degli utenti e al cambiamento delle tendenze meteorologiche. Stiamo inoltre compiendo ricerche su nuovi materiali, tecniche di progettazione e metodi di costruzione che presentano anche notevoli vantaggi ambientali. Grazie all'incontro tra questi diversi assi di sviluppo sostenibilità e applicabilità dei materiali stiamo iniziando a trovare soluzioni significative per le urgenti sfide ecologiche con cui ci confrontiamo oggi. Il compito di noi architetti è continuare questo progresso».

Ha una particolare fonte d'ispirazione? Quali sono i suoi interessi oltre alla vita lavorativa?

«Negli anni '70, quando studiavo architettura a Londra, ero affascinata dal lavoro di Kazimir Malevich, poiché usava l'astrazione per sperimentare ed esplorare nuovi concetti di urbanistica. In quel periodo in Occidente c'era una grave crisi economica e penso che ciò incoraggiasse un'ambizione simile a quella del periodo più formativo di Malevich nella Russia rivoluzionaria, nel senso che pensavamo di iniettare nuove idee che potessero rigenerare o rivitalizzare il pensiero attuale. Mi sentivo limitata dal tradizionale sistema di disegno architettonico che avevamo a disposizione e cercavo nuovi mezzi di rappresentazione. Adottai la pittura come strumento progettuale e lo studio del lavoro di Malevich mi permise di sviluppare l'astrazione come mezzo per esplorare e inventare lo spazio. Nei dipinti di Malevich, le forme geometriche si trasformano in forze ed energie, e io esplorai questi stessi concetti di esplosione, distorsione e piegamento per creare un flusso spaziale ininterrotto nell'ambito dell'architettura. Le idee di leggerezza, di una struttura sospesa come nei miei progetti per il London Aquatics Centre per le Olimpiadi di Londra 2012 o il Centro Culturale di Baku provengono tutte da questa ricerca. Anche la scienza e la natura sono state fonte di ispirazione. Spesso, quando lavoriamo alla creazione di ambienti, guardiamo la natura, la sua coerenza e la sua bellezza. Spesso mi chiedono: Perché non ci sono linee rette, o angoli a 90 gradi, nel suo lavoro? È perché la vita non è fatta su carta millimetrata. Se si pensa ai paesaggi naturali, non sono uniformi e regolari, ma la gente va in questi luoghi e li trova molto naturali, molto rilassanti. Penso che si possa fare la stessa cosa in architettura. Nel tempo libero apprezzo moltissimo la danza contemporanea.

Il Sadler's Wells Theatre è vicinissimo a casa mia, hanno un fantastico programma di spettacoli di danza con compagnie eccellenti. E mi piace anche visitare le gallerie di Londra, il V&A, il British Museum, la Whitechapel Gallery, il Design Museum, la Royal Academy, la Tate».

(ha collaborato Daniela Fedi)

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