Addio a Rensenbrink, "gemello" di Cruijff

Rob era l'opposto di Johan. Il suo palo nella finale Mondiale del '78 fece la storia

Addio a Rensenbrink, "gemello" di Cruijff

Dopo Cruijff, solo Rob Rensenbrink. Lo dicevano tutti, ma proprio tutti gli allenatori che avevano lavorato con il nazionale oranje scomparso ieri sera all'età di 72 anni a causa di un'atrofia muscolare progressiva diagnosticatagli nel 2012.

L'uomo passato alla storia per il palo colpito nella finale Mondiale del '78 contro l'Argentina che avrebbe potuto riuscire dove anche Cruijff aveva fallito, ovvero portare l'Olanda sul tetto del mondo. Si, perché anche Rensenbrink era un uomo da finali, decisivo nei momenti che contavano: doppietta nella finale di Coppa Coppe del 76 al West Ham, due reti al Bayern Monaco nella Supercoppa Europea, altre due nella finale di Coppa Coppe del 78 all'Austria Vienna, sigillo contro il Liverpool nella Supercoppa dello stesso anno. Il tutto con la maglia dell'Anderlecht, la squadra principale di una carriera da anti-divo, perfettamente in linea con la sua persona. Tanto carismatico e sfrontato era Cruijff, quanto timido e schivo risultava Rensenbrink. Quando Rinus Michels lo convocò per il Mondiale del '74, quello che rivelò al mondo la grande Olanda, in pochi lo conoscevano in patria, dove aveva giocato solo nel Dws di Amsterdam per poi emigrare in Belgio inizialmente al Club Brugge - dopo aver rifiutato un'offerta dell'Ajax ritenuta troppo bassa.

Michels, lungimirante, lo preferì a Piet Keizer per la maggiore duttilità. A dispetto del nick het slangenmens (l'uomo serpente) affibbiatogli in Belgio per la sinuosità e la velocità dei movimenti, Rensenbrink non era solo un'ala dal dribbling letale, ma una seconda punta dal repertorio completo, freddissima davanti alla porta ma abile nell'integrarsi in diversi sistemi di gioco, dal 4-3-3 del calcio totale al 4-4-2 di matrice belga. Nel 73 è capocannoniere del campionato belga, nel '76 arriva secondo nella graduatoria del Pallone d'Oro dietro a Franz Beckenbauer, nel '78 è terzo. Lascia il Belgio nell'80 con un bottino di 167 reti segnate, venendo in seguito votato miglior straniero di sempre del campionato. Intavola trattative con Real Madrid e Inter, ma sceglie gli USA, pentendosene in seguito.

Quando nell'81 appende le scarpe al chiodo, esce di scena nello stesso modo in cui era entrato: in silenzio. Lascia il calcio e si ritira nel suo luogo natio, Oostzaan. Provincia profonda, il suo mondo, dal quale emerge solo per rispondere alla solita, irrinunciabile domanda. «Quella palla non sarebbe mai potuta entrare.

Non c'era spazio sufficiente, ho tirato dalla linea di fondocampo. Sarebbe stato meglio se avessi sbagliato di tanto, almeno nessuno mi chiederebbe più di quel palo all'ultimo minuto della finale. Perché davvero, per quella palla non esisteva nessuna possibilità».

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