Mario Almondo è l'uomo dei due mondi motoristici. Una vita trascorsa a Maranello, testimone e attore dell'intera resurrezione rampante che portò all'era schumacheriana e direttore tecnico dell'ultima Ferrari campione del mondo, quella di Kimi Raikkonen e Felipe Massa, anno 2007 «e che emozioni provo ancora oggi ricordando come vincemmo all'ultimo...» dice dosando bene dispiacere e fierezza, il dispiacere per la Rossa che da troppe stagioni fatica e la fierezza per esserne stato parte quando a faticare erano le rivali. Almondo, ingegnere, torinese, 56 anni, dal 2017 è Direttore Global Business Unit Brembo Performance, l'altro mondo del motorsport italiano conosciuto ovunque oltre la Ferrari.
L'uomo dei due mondi che cosa prova?
«Sicuramente la prima parola è orgoglio, l'orgoglio di rappresentare ai massimi livelli questi due straordinari brand».
C'è bisogno di sottolinearlo, soprattutto ora che il Paese riparte anche grazie all'eccellenza delle nostre imprese.
«Sì, perché Brembo e Ferrari sono due riferimenti assoluti nazionali e dell'eccellenza industriale, rappresentano tutto ciò che di positivo e ai massimi livelli sa esprimere l'Italia. L'altra parola che mi viene in mente è continuità. Sono uscito da Ferrari nel 2013 e due anni dopo sono entrato in Brembo. E fin da subito mi sono sentito a casa».
Freni. Sicurezza. Vietato sbagliare.
«Serve dedizione. Immaginare che cosa fanno, in ogni istante, in giro per il mondo, su tutte le piste, i piloti con i nostri impianti frenanti? Ce l'abbiamo addosso la responsabilità».
Paragoni i due tipi di responsabilità: mettere in pista da Dt Ferrari una monoposto vincente e fornire, da capo di Brembo Performance, impianti sempre al massimo livello di prestazione ed efficienza.
«In Ferrari era la pressione di vincere, qui in Brembo è simile, ma si sviluppa in modo diverso: come dicevo, in ogni istante, anche adesso, moto, auto, serie minori, c'è qualcuno nel mondo che corre con i nostri freni. Questo significa grandi opportunità per noi di metterci in luce facendo bene, ma anche maggiori possibilità di avere dei problemi».
Avete comunicato di aver superato i 500 titoli mondiali vinti.
«Numeri strabilianti che a dirli sembrano facili da ottenere, come se ci fossimo solo noi a fornire freni e impianti. Invece non è così, abbiamo competitor molto molto forti. Per noi la tensione va oltre la gara della domenica, è la gara sulla tecnologia la nostra, sui brevetti, sull'arrivare prima delle aziende rivali, è la gara sulle idee, sul brevetto, sui materiali, sul revisionare subito perché il Gp è la settimana dopo. Ma è una tensione bellissima».
La Ferrari è un'auto da sogno, parlare di bellezza è facile. Eppure Brembo è riuscita a rendere pinze e freni un elemento di design...
«E abbiamo vinto più volte Il compasso d'oro, il premio più prestigioso di design. Quasi in modo provocatorio potrei dire che in Brembo se una pinza dal punto di vista ingegneristico fa il suo mestiere ma è brutta, beh, allora, in Brembo non va bene. Deve anche appagare l'occhio».
Nuove sfide in arrivo: la F1 rivoluzionata nel 2022.
«Cambia ogni cosa: pensiamo ai cerchi che passeranno da 13 a 18 pollici, ai diametri dei dischi da max 278 mm a 330, al diametro dei fori di ventilazione, pensiamo alle monoposto che peseranno di più. Cambia il carico: prevediamo aumenti di coppia anteriore del 5-10% e sul posteriore dal 15 al 25%. Cambierà il modo di frenare, rallentare, inserirsi in curva».
Il remote garage?
«Nacque in Ferrari a inizio anni 2000. Ross Brawn non poteva venire ad alcune gare e per contare sulla sua competenza organizzammo un collegamento informatico in tempo reale. Curai io l'organizzazione, all'epoca ero a capo dei sistemi informativi. Ora è un fiore all'occhiello di Brembo e una realtà ovunque nel motorsport».
Lei è l'ultimo Dt Ferrari ad aver vinto un mondiale...
«Era il 2007. Fu l'anno della spy story con la McLaren, anno pesante, la notte gestivo la parte legale e di giorno c'era da vincere il campionato, ce la facemmo sul filo di lana.
Come tanti italiani sono contento quando la Ferrari è ai massimi livelli. Dobbiamo avere pazienza, anche se tra qualche anno mi spiacerebbe vedere giovani tifosi che diventano maggiorenni senza mai aver fatto festa per la Ferrari campione del mondo. Il mito va sempre alimentato».
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