C'è un'Italia che va. Vediamo dove arriva

Prandelli ha poche carte ma mostra ottimismo. Il vantaggio? Nessuno chiede agli azzurri il titolo

Cesare Prandelli con la nazionale italiana in allenamento
Cesare Prandelli con la nazionale italiana in allenamento

Nostro inviato a Manaus

Un mondiale che comincia con un autogol, e un rigore inventato, può soltanto far bene all'ottimismo. Anche a quello italiano. Potremo vedere di tutto e di più. Italia che parte e va. Dove non si sa. In un paese come il nostro la nazionale è intoccabile solo quando vince. Se perde, è un disastro annunciato: il nostro “elementare Watson!”. E il pessimismo è il miglior compagno di via per non doversi ritrovare a maledire l'ottimismo da imberbi (e passionali) cultori. La premessa è indispensabile per non avvitarsi in discorsi tecnici che porterebbero a una sintesi estrema: nazionale con poca classe, troppe variabili e scarsa affidabilità difensiva.

Dunque, addio sogni di gloria. Cesare Prandelli ha modellato una squadra affidandosi a quanto ha raccontato il campionato: un blocco Juve per ritrovarsi con una spina dorsale credibile (Buffon, Barzagli, Chiellini, Pirlo), qualche giovane di belle speranze, due guaglioni con la voglia che solo i ragazzi di quelle parti sanno tradurre nel bello del pallone, e due pazzi dal talento d'oro: peccato lo sprechino più di quanto lo annaffino.

Italia aggrappata alla lena di Balotelli, ma certo non basterà. Italia con la tremarella difensiva e rischia di essere un fastidioso leit motiv. Italia che dovrà sudare non solo per l'umidità di Manaus o il caldo torrido di Recife e Natal: dovrà fare i conti prima con se stessa e le sue imperfezioni, poi con gli avversari. Il mondiale è sempre una partita di roulette russa, ogni colpo può essere fatale. Non si può dire sia iniziato all'insegna del gioco facile: l'infortunio di Montolivo, lo spavento per De Sciglio, la bocciatura di Pepito Rossi. Prandelli ha capito di avere in mano poche carte, a dispetto dell'ottimismo, e si tiene abbottonato: filosofia italiana su calcio che pretenderebbe il manto del cavaliere senza paura. Rispetto agli Europei, la nazionale ha acquisito più esperienza, ma anche più delusioni cammin facendo. Rispetto al disastroso mondiale 2010 sono rimasti in sei. E almeno 5 saranno titolari: Buffon, Chiellini, De Rossi, Pirlo, Marchisio. Ovvero il blocco Juve arrivato all'ultima fermata. Alla prossima si scende, ha raccontato Pirlo. Non solo lui. È il primo mondiale di Prandelli e l'ultimo per la sua guardia d'onore: un pizzico di romanticismo vorrebbe che sogni e ricordi si sposassero. Ma il pallone è cinico, qualche volta anche baro. Il ct ha lavorato sul ricambio, ma rischiamo di ritrovarci con una squadra sosia del nostro campionato: che non è più top e che ci regala delusioni quando le nostre squadre mettono naso nelle grandi competizioni. Il rapporto club deboli-nazionale scarsa non è diretto, però rischia di esserlo.

Eppure proprio questa è la ragione che agevola la nostra nazionale: nessuno le chiede di vincere. Basta una buona figura. Ideale arrivare nei quarti. Talvolta il pessimismo aiuta a toglier pressione. La sfida con l'Inghilterra potrebbe inquadrare il resto del cammino. Nel mondiale brasiliano 1950, l'Italia giocò la prima partita contro la Svezia, una europea di stazza fisica come stavolta l'Inghilterra: finì con un 3-2 per gli avversari che decise il girone.

A Jeppson e soci bastò un pari con il Paraguay per metter fuori gioco gli azzurri. Oggi c'è di mezzo un'altra sudamericana: Uruguay anziché Paraguay. C'è il rischio di confondere nomi e storia. Meglio dimenticare, per non ripetersi.

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