"Il ciclismo è cambiato: più attento ai particolari. L'Italia ha perso il treno"

Nell'Amstel Gold Race un'altra vittoria di Pogacar. Il due volte vincitore ora tecnico, Enrico Gasparotto, sul momento no dell'italbici: "Tadej Pogacar fenomeno, ma i nostri corrono e non si allenano"

"Il ciclismo è cambiato: più attento ai particolari. L'Italia ha perso il treno"

Ce l'aveva detto alla vigilia della corsa della birra, che in carriera ha saputo vincere due volte: «Se c'è Tadej Pogacar si corre per il secondo posto». Pensieri e parole di Enrico Gasparotto, oggi svizzero di nazionalità e tecnico della tedesca Bora Hansgrohe, anche se nel suo ieri recentissimo, oltre a due edizioni dell'Amstel Gold Race, risplende una maglia tricolore vinta nel 2005, anche se non ha mai corso un mondiale con la maglia dell'Italia, sogno realizzato con la maglia rossocrociata a Imola nel 2020.

Enrico Gasparotto, 40 anni, di cui sedici trascorsi nel mondo del ciclismo professionistico è semplicemente rapito dall'ennesimo colpo di classe del bimbo sloveno, che in diciassette giorni di corsa ha raccolto 11 vittorie, con Parigi-Nizza, Fiandre e Amstel a risplendere in un palmares di 57 vittorie totali a soli 24 anni, con due Tour, due Lombardia, una Liegi e due Tirreno a risplendere. «Cosa si può dire? È un fenomeno ci dice con ammirazione assoluta il tecnico italo-svizzero -. Ha dimostrato ancora una volta di essere di un altro pianeta. Era chiaro che tutti avrebbero corso per farlo perdere e nessuno ci è riuscito».

Pensieri e parole di Enrico Gasparotto, che guarda Pogacar e con pudore racconta di sé. «La mia carriera? Per quello che ero, più che buona dice. Il punto più alto? Chiaramente l'Amstel Gold Race. La seconda, quella del 2016, ha rappresentato per me il momento più emozionante, anche perché non ero più in un top team come l'Astana, ma in una squadra di seconda divisione (la Wanty-Groupe Gobert). In più a rendere tutto più difficile c'era anche stata la tragica scomparsa di un nostro compagno di squadra, morto in gara alla Gand-Wevelgem (Antoine Demoitie). Dedicargli la vittoria è stato qualcosa di speciale».

Parla e spiega tutto, Enrico Gasparotto, che parla correttamente francese e inglese, tedesco e anche un po' di polacco, per via di sua moglie Anna Moska. «Dicono: non paragoniamolo a Merckx. Ma se lo stesso fuoriclasse belga dopo il Fiandre ha detto: Questo è più di un campione. A chi dovremmo paragonarlo?».

Parla e spiega il momento magico dei sei fenomeni. «Dopo il Covid è cambiato qualcosa in tutti, anche in gruppo. È vero, ci sono Tadej e Van Aert, Van der Poel e Evenepoel, Roglic e Vingegaard, ma in tutti c'è un approccio agonistico diverso. C'è voglia di correre e divertirsi, di dare spazio alla creatività. C'è ricerca, ma anche tanta emotività, che è stata compressa per troppo tempo».

Parla e spiega, anche il momento non facile del ciclismo italiano (ieri, Andrea Bagioli, 6°). «Abbiamo Filippo Ganna che sta facendo vedere cose molto belle e poi c'è qualche buon corridore, ma al momento soffriamo. Il perché? Il ciclismo è cambiato e noi italiani non ce ne siamo accorti. Nel 2005 la Liquigas era uno dei top club, con una settantina di persone impiegate. Oggi alla Bora siamo quasi in 120.

Molte più figure professionali, molta più attenzione al particolare. L'Italia ha perso il treno. In Italia i ragazzi non si allenano, ma corrono in continuazione. In Europa i ragazzi fanno blocchi di lavoro specifici per poi essere pronti a correre. Meno corse, più lavoro».

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