Il complottista non si vaccina: fuori squadra

"Il siero indebolisce gli afro-americani". E i Nets escludono la star Irving

Il complottista non si vaccina: fuori squadra

Lo scorso anno, nel giudicare le vicende americane all'apparire della pandemia, ci si è spesso dimenticati di un dettaglio, che dettaglio non è: i singoli stati e città godono di notevole autonomia legislativa su molti fronti, come quello sanitario, e ad esempio a New York, dopo un inizio allegro («C'è il capodanno cinese, uscite e festeggiate, non fatevi fuorviare dalle fake news sul coronavirus» aveva scritto il 9 febbraio Oxiris Barbot, all'epoca responsabile della sanità, salvo cambiare precipitosamente idea pochi giorni dopo), l'atteggiamento è diventato di rigidità e rigore. Per entrare in un impianto sportivo pubblico, ad esempio, bisogna dimostrare di avere avuto almeno la prima dose di vaccino, e in caso contrario si resta fuori. Era la sorte che attendeva Kyrie Irving, 29 anni, guardia dei Brooklyn Nets e personaggio spesso ingombrante e scomodo, oltre che molto indipendente nelle decisioni e nelle parole.

Non vaccinato, e sostenitore della teoria complottistica secondo cui la campagna vaccinale ha come scopo l'indebolimento degli afro-americani, Irving avrebbe dovuto giocare solo le partite in trasferta, in arene senza restrizioni, ma per evitare una serie di situazioni scomode i Nets hanno deciso di lasciarlo direttamente a casa. Non si allenerà - nonostante la palestra del club sia privata - e non giocherà fino a quando non si vaccinerà, presumibilmente. Lo ha annunciato ieri il general manager Sean Marks, l'ex giocatore della nazionale australiana passato anche per la Virtus Bologna ma senza giocare partite ufficiali in campionato: «Kyrie ha fatto la sua scelta e noi abbiamo fatto la nostra, per il bene della squadra».

La prospettiva di giocare solo in trasferta è stata viva fino a ieri, nonostante l'ovvio disagio di riaccogliere in quintetto, ogni 3-4 partite, un giocatore così importante e così ingombrante, e attenzione: Irving ci rimetterà tanto, circa 17 milioni, ma solo per le partite saltate in casa (41) più le due a Manhattan contro i Knicks, mentre percepirà ugualmente il salario (pagato due volte al mese, l'1 e

il 15, come regola Nba, e calcolato dividendo la somma totale per le 82 gare di regular season) per quelle in trasferta, perché la decisione di saltarle non è sua e il club non lo ha sospeso ma solo tenuto fuori squadra.

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