Fine del rodaggio, dell'apprendistato e dell'acclimatamento sull'ammiraglia della Squadra per eccellenza, della nazionale italiana di ciclismo che fu di Binda e Martini, Ballerini e Cassani, tanto per fare qualche nome. Adesso tocca a lui, a Daniele Bennati, 41 anni toscano di Arezzo, un passato da ottimo corridore professionista, con al suo attivo almeno una tappa in tutti i tre Grandi Giri e dal 2 novembre scorso erede di quel Davide Cassani che è stato invitato ad accomodarsi dopo otto anni di onorata carriera, arricchita da titoli europei e mondiali, ma mai completamente riconosciuto dagli addetti ai lavori, forse perché troppo riconoscibile. Invidia? Sì, si parla di quella cosa lì, che da sempre regola e condizione la vita degli uomini e il tecnico romagnolo non fa eccezione. Adesso tocca a Daniele Bennati, più giovane e meno mediatico, più inesperto e forse anche più ambizioso, anche se in cuor suo non se la racconta: sa perfettamente che senza campioni non si vince e, soprattutto, non sarà facile fare meglio del tecnico romagnolo, che con quel poco che aveva, ha fatto molto. In ogni caso lo incontriamo alla vigilia del suo esordio azzurro, quello vero, domenica a Monaco di Baviera, dove si correrà la prova in linea, quella che da quattro anni ci vede campioni d'Europa con Matteo Trentin, Elia Viviani, Giacomo Nizzolo e Sonny Colbrelli. Insomma, la missione è già al limite dell'impossibile: se si arriva secondi è una sconfitta.
Bennati, come si sente?
«Felice di cominciare una grande avventura dopo una serie di prestazioni con le nazionali sperimentali».
Il ciclismo non vive un periodo felice.
«Dobbiamo portare pazienza, molti ragazzi come Sonny (Colbrelli, ndr) sono fermi per questioni di salute, altri devono crescere. È in atto un importante ricambio generazionale e dobbiamo concedere loro del tempo».
La sua prima Italia è una giusta miscela tra esperienza e giovani da valorizzare.
«Ho scelto otto ragazzi forti e secondo me competitivi. Baroncini, Dainese, Ganna, Guarnieri, Milan, Mozzato, Nizzolo e Trentin in rigoroso ordine alfabetico. I giovani? Ci sono e anche interessanti, ma è altrettanto vero che hanno bisogno di fare esperienza, di verificarsi e crescere in tranquillità. Per la mia Italia sarà un Europeo di transizione, i nostri obiettivi sono rivolti ai Giochi di Parigi 2024».
Squadre da battere?
«L'Olanda con Fabio Jakobsen, il Belgio con Tim Merlier e Jasper Philipsen, la Danimarca con l'ex iridato Mads Pedersen e direi anche la Norvegia con Alexander Kristoff avranno tutto l'interesse a giocarsi le chance in volata. Noi dovremo essere bravi a essere lì nel vivo della corsa, con uomini importanti come Matteo Trentin, che è il mio regista in corsa, come del resto lo è stato in questi anni anche con le nazionali di Davide Cassani. Dovremo essere bravi a fare le cose giuste nel momento giusto».
Avrà anche un fuoriclasse: Filippo Ganna.
«Filippo non lo scopro di certo io, è patrimonio del nostro movimento, ma tenete d'occhio anche Jonathan Milan: è un ragazzo che non scherza in quanto a talento e valori che è in grado di esprimere.
E poi c'è anche un ragazzo di soli 21 anni, Filippo Baroncini, ex campione del mondo under'23, il nostro migliore interprete nelle corse di un giorno. L'ho inserito per fargli fare esperienza. A lui e a Luca Mozzato, che al Tour è andato fortissimo, ho chiesto creatività e incoscienza».Cose da italiani, insomma.
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