Domenicali capo F1. E la Rossa perde ancora

Domenicali capo F1. E la Rossa perde ancora

Si può perdere anche vincendo. Per la Ferrari meglio così della routine in cui è piombata in questo disgraziato duemilaeventi in cui perde perdendo. L'ultima sconfitta, mascherata da successo, è la nomina di Stefano Domenicali a presidente e ceo della F1. Adesso è ufficiale: Ecclestone sarà italiano. Di più: il nuovo Ecclestone sarà un 55enne ex ferrarista rimasto tale nell'animo benché, dopo oltre vent'anni trascorsi a Maranello, abbia lavorato con successo per il gruppo Audi Volkswagen, rivitalizzandone il gioiello Lamborghini. Su questo suo legame con la Rossa poggia purtroppo la vittoria perdente del Cavallino. Agli occhi dei più, anche in seno alla Rossa, la sua nomina a capo della F1 apre a una serie di umane aspettative che poggiano sull'equazione sbagliata ex ferrarista uguale occhio di riguardo verso via Abetone Inferiore 4, Maranello. Non sarà così. Non lo consente il ruolo, non lo consente l'uomo Stefano Domenicali. O Stefano says, come l'intero Circus si è sempre riferito a lui, sottolineandone autorevolezza e precisione delle argomentazioni. Anche quelle in rotta di collisione con gli altri team. Collisione mai traumatica, frutto di una innata eleganza e abilità diplomatica. Dio solo sa, dio dei motori s'intende, quante grane regolamentari e politiche Stefano says ha dovuto affrontare nei suoi anni, prima da ds del Cavallino e poi al fianco e al posto di Jean Todt. Anni in cui ha sempre fatto valere le ragioni della propria azienda senza mai stonare. La vittoria perdente della Ferrari sta proprio in questo. L'azienda di Domenicali dal prossimo gennaio sarà il Circus. «Sono nato a Imola, vivo a Monza, la F1 ha sempre fatto parte della mia vita» ha detto ieri l'uomo allontanato da Maranello a inizio 2014 per ordine di Fca e Marchionne che, approfittando dell'esordio fallimentare della prima Ferrari ibrida, decisero di mettere direttamente le mani sul Cavallino mandando poi via anche l'allora presidente Montezemolo; per inciso, scopritore e grande amico di Domenicali. Profondo conoscitore di calcio, imparentato con la famiglia di Dino Zoff, amante del basket, dello sci e della montagna dove si rifugia con famiglia e figli, solo pochi mesi fa era stato in lizza come Ceo di Milano-Cortina 2026. Uomo di motori dunque, ma soprattutto uomo di sport e d'azienda. E proprio questo aziendalismo rende ancor più evidente la vittoria perdente della Ferrari. Perché è vero che per Maranello, tra un americano di New York esperto di mkt, l'uscente n°1 Chase Carey, e un suo ex team principal per di più ospite tra i più graditi due sabati fa a Firenze per la Festa dei 1000 Gp Ferrari, tutta la vita meglio il secondo. Ma è vero altrettanto che proprio il nome di Domenicali, nei mesi scorsi, era circolato per un ruolo di alto profilo in Ferrari. Non abbastanza alto, però, da prendere il posto del ceo ferrarista Louis Camilleri, per cui non se n'è fatto nulla. Risultato: l'azienda F1, in vista dei profondi cambiamenti regolamentari e delle difficoltà Covid, ha sostituito un valido uomo di mkt ma non di motori come Carey con un manager che ha le corse dentro, «e porterà l'esperienza maturata nei successi in F1 con la Ferrari e nell'industria con Audi» ha detto il presidente di Liberty Media, proprietaria della F1, Greg Maffei.

Mentre Maranello in crisi non ha colto l'occasione di avviare un cambio al proprio vertice tra il grande manager esperto di tabacco e multinazionali ma non di motori con l'uomo che, dentro, oltre alle corse aveva la Ferrari. E forse ce l'ha ancora. Dobbiamo solo augurarcelo.

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