Prima che il basket chiuda questo campionato dell'irregolarità pandemica un verdetto doloroso per tutti: Cantù retrocessa in A2. Una grande storia, scudetti, coppe, una società che ha indicato la strada a tanti, calpestati nell'ultima triste recita sul campo periferico della Fortitudo. Quando è suonato il gong abbiamo rubato ad un poeta giapponese il suo haiku: da dove sei passata (cara Cantù), per quale sentiero da sogno (o da incubo), per alla fine giungere su questa montagna sepolta sotto la neve profonda?
Da molti eventi sfortunati. Il Covid, nel momento in cui stava per salvarsi, dopo il doloroso distacco da Cesare Pancotto che, dopo mille partite in serie A, si è seduto sul banco degli imputati. La scoperta di troppi giocatori sbagliati nel momento in cui Piero Bucchi, nella sua stagione maledetta, ha dovuto dirigere dalla quarantena una squadra che aveva perso troppe partite in volata. Prima di lui e anche con lui.
Un governo saggio, una Lega davvero unita e non smembrata dall'egoismo, avrebbe fatto come la pallavolo, cambiando tutto in corsa, riducendo viaggi e rischi, togliendo la mannaia della retrocessione dalle mani del boia ingaggiato per dare al circo l'esecuzione e il brivido. Piange Cantù e sorridono, non si sa perché, le sei società (Reggio Emilia, Pesaro, Fortitudo Bologna, Brescia e Varese) che fino a ieri vivevano lo stesso incubo, 5 delle quali avevano anche speso soldi non in cassa per il cambio dell'allenatore.
È lo sport bellezza così come lo vediamo dalle nostre poltrone in Italia. Nell'amarezza, però, ci consola il fatto che la crudeltà del verdetto ha colpito proprio la società che più di altre saprà ritornare dove merita. Le era già capitato 23 anni fa. Ha ricostruito, è tornata. Non ai fasti del passato, ma sempre protagonista. Ora le nuove regole che la Lega imporrà alla prossima serie A potrebbero anche portare al recupero della Cantù affidata al santo sbagliato. Resta l'amarezza del risultato sportivo con sole 8 vittorie su 27 partite. Certo che hanno colpe anche nella società riaffidata alla passione di Roberto Allievi, figlio del sciur Aldo, l'uomo del periodo aureo, delle coppe vinte, degli scudetti.
Ma a questa Cantù, che, finalmente, anche se un po' tardi, riavrà un suo palazzo, dopo l'esilio di anni a Desio dove non c'è mai stata la trincea che faceva del Pianella la tana dell'incubo per chi ci doveva giocare, auguriamo di rimettersi in piedi già domani. La sua storia, la passione del Cantuki, come garanzia e speranza.
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